Spetterà alla Corte costituzionale pronunciarsi, nuovamente, sul tema della fecondazione assistita. Il Tribunale di Milano, sezione I civile, con ordinanza del 29 marzo 2013, ha sollevato alcune questioni di legittimità costituzionale relative alla legge n. 40/2004 con particolare riguardo all’articolo 4, comma 3 che stabilisce il divieto assoluto delle tecniche di procreazione di tipo eterologo (ordinanza). Una coppia aveva chiesto al giudice di prima istanza di ordinare, in via d’urgenza, al medico convenuto, di eseguire la fecondazione eterologa a causa di un’infertilità assoluta. Il giudice aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale. La Consulta, con ordinanza n. 150/2012 aveva rinviato gli atti al giudice remittente chiedendo una valutazione alla luce della pronuncia della Grande Camera del 3 novembre 2011 nel caso S.H. e altri contro Austria. In quella vicenda, mentre con sentenza del 1° aprile 2010 (AFFAIRE SH ET AUTRES c AUTRICH), la Camera della Corte europea aveva ritenuto contrario alla Convenzione il divieto assoluto di ricorrere alla fecondazione eterologa stabilito nella legge austriaca, nella pronuncia della Grande camera la Corte aveva ribaltato il giudizio ritenendo che il parziale divieto di fecondazione eterologa non violava la Convenzione individuando però alcuni principi rilevanti in materia (CASE OF SH AND OTHERS v AUSTRI).
Proprio alla luce di tali richiami, il Tribunale di Milano ritiene di dover sottoporre una nuova questione di costituzionalità. Questo perché nella sentenza della Grande Camera, secondo il Collegio, la Corte europea ha sì dichiarato che il divieto di fecondazione eterologa non costituiva una violazione degli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione, ma ha affermato che il diritto di una coppia di concepire un figlio e di utilizzare le tecniche di procreazione assistita è protetto dall’articolo 8 e ha chiesto al legislatore nazionale di valutare sia i progressi della scienza medica sia il consenso sociale. Secondo il Tribunale di Milano, la Grande Camera non ha verificato “se nel prosieguo di tempo lo Stato nazionale avesse poi rispettato il dovere di evoluzione applicando i principi illustrati dalla stessa Corte ovvero avesse mantenuto in vita una legislazione non armonica con il progredire delle scienze mediche e il mutamento della sensibilità sociale dei cittadini”. Di qui la decisione di chiamare in causa nuovamente la Corte costituzionale tanto più – osserva il Tribunale – che i divieti posti nella legge n. 40 impediscono alla coppia “di determinare la propria condizione genitoriale e, quindi, di poter concorrere liberamente alla realizzazione della propria vita familiare”. La normativa italiana sembra in contrasto, tra l’altro, con gli articoli 3 e 31 della Costituzione perché sono “trattate in modo opposto coppie con limiti di procreazione” proprio a causa della circostanza che è ammesso il diritto a ricorrere a tecniche artificiali per avere un figlio ma, in pratica, ad alcuni individui, che hanno specifiche patologie, si impedisce il ricorso all’unica tecnica possibile, ossia quella eterologa.
La legge n. 40, d’altra parte, ha già perso pezzi grazie agli interventi della Corte europea dei diritti dell’uomo. Quest’ultima, infatti, con sentenza del 28 agosto 2012, nel caso Costa e Pavan ha ritenuto la legislazione italiana incoerente perché da un lato impedisce il ricorso alla diagnosi preimpianto, dall’altro lato consente di ricorrere all’aborto teraupetico. La sentenza è divenuta definitiva: la Grande Camera, infatti, con decisione del 12 febbraio 2013, ha respinto il ricorso del Governo al massimo organo giurisdizionale.
Si veda il post del 28 agosto 2012 http://www.marinacastellaneta.it/blog/bocciata-a-strasburgo-la-legge-sulla-fecondazione-assistita.html
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