La Commissione Venezia del Consiglio d’Europa chiede all’Italia di modificare la normativa interna in materia di diffamazione e di rivedere il testo del disegno di legge che mostra – ancora – profili di non compatibilità con gli standard della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Nel parere n. 717/2013 approvato il 9 dicembre (CDL-AD(2013)038 opinion), la Commissione Venezia, in base al rapporto presentato da Clayton, Grabenwarter e Thorgeirsdottir, ha confermato un fatto chiaro a tutti salvo forse al legislatore italiano, che è in grave ritardo: la legge interna sulla diffamazione compromette la libertà di stampa ed è fuori dai parametri internazionali. Non solo è ancora previsto il carcere nel caso di diffamazione ma, anche sul piano civile, mancano norme che considerino, nella quantificazione dei risarcimenti, la situazione economica del giornalista. E nonostante il grave ritardo nelle modifiche da apportare, richieste più volte anche dalla Corte di Strasburgo, il legislatore non mostra di agire in modo conforme alla Convenzione europea come interpretata dalla Corte. Il disegno di legge – ha precisato la Commissione Venezia – dovrebbe fare un esplicito richiamo all’obbligo di applicazione del principio di proporzionalità nelle sanzioni e obbligare a tener conto della situazione economica del giornalista nei casi di diffamazione. Non solo. Il legislatore dovrebbe riconsiderare la sospensione temporanea dalla professione introdotta nel disegno di legge nel caso di recidiva nella diffamazione perché questa sanzione può causare una forma di autocensura e produrre un chilling effect sul giornalismo investigativo.
Va ricordato che è stata l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, con la risoluzione n. 1920 del 24 gennaio 2013 sullo stato della libertà dei media in Europa (1920), a chiedere alla Commissione Venezia di redigere un rapporto sull’Italia.
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