Il giudice nazionale, nei procedimenti in cui è messo in discussione il principio generale di non discriminazione in base all’età, riconosciuto dalla Carta dei diritti fondamentali Ue, deve garantirne la piena efficacia e disapplicare il diritto interno anche nel caso di controversie tra privati e se ciò incide sui principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento. E’ la Corte di giustizia dell’Unione europea a stabilirlo con la sentenza depositata il 19 aprile (C-441/14, C-441:14) su rinvio pregiudiziale della Corte suprema danese. Al centro del quesito pregiudiziale, la direttiva 2000/78 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, recepita in Italia con Dlgs n. 216/2003. Un sindacato aveva chiesto ai tribunali nazionali di corrispondere a un lavoratore l’indennità di licenziamento. La richiesta era stata respinta dall’azienda perché, con il raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia, l’indennità non gli spettava, malgrado avesse continuato a lavorare per un’altra azienda. Per la Corte Ue, l’esclusione automatica dalla corresponsione dell’indennità per la sola circostanza che si è raggiunta una determinata età, con la conseguente titolarità alla pensione di vecchiaia, determina una discriminazione in ragione dell’età privando un lavoratore subordinato del diritto di beneficiare dell’indennità di licenziamento, senza valutare se il dipendente resti o no nel mercato del lavoro. Lussemburgo è poi chiaro nell’affermare che, nei casi in cui il diritto interno con il quale è stata recepita la direttiva produce un effetto contrario all’atto Ue, i tribunali nazionali devono garantire piena efficacia al diritto dell’Unione anche nel caso di controversie tra privati. E questo malgrado la direttiva non crei obblighi a carico di un privato e, quindi, non possa essere fatta valere nei suoi confronti. Le autorità giurisdizionali nazionali, infatti, devono interpretare il diritto interno “alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, onde conseguire il risultato fissato da quest’ultima”. Un risultato da perseguire anche ribaltando una giurisprudenza nazionale consolidata basata su un’interpretazione del diritto interno contrastante con la direttiva e finanche se la diversa interpretazione incide sul legittimo affidamento del datore di lavoro.
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