Gli Stati sono obbligati a rispettare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, in particolare le norme sull’equo processo e sull’accesso alla giustizia anche nei casi in cui le autorità nazionali sono chiamate ad eseguire le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu. E’ la Grande Camera a ribadirlo con la sentenza depositata ieri nel caso Al-Dulimi e Montana contro Svizzera (CASE OF AL-DULIMI AND MONTANA MANAGEMENT INC. v. SWITZERLAND), con la quale Strasburgo ha confermato la condanna a Berna già decisa dalla Camera con la pronuncia del 26 novembre 2013. Dopo il primo verdetto, la Svizzera aveva chiesto il riesame della causa alla Grande Camera, che le dato torto. Al centro del ricorso l’applicazione della risoluzione n. 1483 del Consiglio di sicurezza sull’embargo all’Iraq adottata nel 2003 con la quale sono state previste sanzioni contro persone fisiche e giuridiche vicine al Governo iracheno. Tra queste il ricorrente e la sua società con sede a Panama colpiti dalla confisca dei beni ad opera del Dipartimento federale dell’economia svizzero che ha dato esecuzione all’atto del Consiglio di sicurezza e disposto la confisca dei beni e il trasferimento in Iraq. Tutti i ricorsi del destinatario delle misure erano stati respinti sulla base della circostanza che le risoluzioni del Consiglio di sicurezza prevalgono su ogni obbligo internazionale. Di qui l’azione a Strasburgo.
Prima di tutto, il massimo organo giurisdizionale ha ribadito che la Convenzione europea deve essere interpretata tenendo conto delle regole e dei principi propri dell’ordinamento internazionale e, in particolare, della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Ed invero, in via generale, se l’articolo 103 della Carta Onu sancisce il primato, in caso di conflitto con altri obblighi internazionali, di quelli derivanti dalla Carta è anche vero che tra gli obiettivi delle Nazioni Unite vi è la protezione dei diritti umani e, di conseguenza, sussiste una presunzione in base alla quale il Consiglio di sicurezza non impone obblighi che potrebbero violare i diritti dell’uomo. La Grande Camera, inoltre, chiarito di non essere competente a valutare la legittimità della risoluzione, ha precisato che se la risoluzione non contiene un’esplicita affermazione volta a limitare o escludere il rispetto dei diritti dell’uomo nel contesto dell’esecuzione delle sanzioni a livello nazionale, va presunto che le misure sono compatibili con la Convenzione e che non sussiste, in linea di principio, un conflitto con gli obblighi convenzionali. Ora, poiché compito della Corte è di accertare se uno Stato ha adottato tutte le misure necessarie a garantire il rispetto della Convenzione anche nell’esecuzione della risoluzione del Consiglio di sicurezza e che gli Stati non possono trincerarsi dietro la natura vincolante delle risoluzioni del Consiglio, ma sono tenute, nel momento in cui si trovano dinanzi all’organo giurisdizionale, a mostrare di aver adottato tutte le misure necessarie per evitare violazioni della Convenzione, la Grande Camera ha bocciato la tesi delle autorità nazionali che hanno invocato l’assoluta primazia degli obblighi derivanti dalla Carta Onu e, in particolare dell’articolo 103, per respingere ogni azione dei ricorrenti. Tra l’altro, la risoluzione del Consiglio non ha escluso in modo chiaro ed esplicito l’esame giudiziario delle sanzioni e, quindi, non si è posto un conflitto tra l’atto Onu e la Convenzione europea che prevede il diritto di accesso alla giustizia, alla base dell’equo processo, rendendo così inutile l’applicazione del principio della protezione equivalente. Di conseguenza, i tribunali nazionali avrebbero ben potuto occuparsi di valutare l’arbitrarietà della misura di confisca, conciliando le esigenze di sicurezza alla base della risoluzione e i diritti umani. Nel rifiutarsi di esaminare se vi fosse una violazione delle garanzie procedurali, la Svizzera è così incorsa in una violazione della Convenzione, limitando il diritto di accesso alla giustizia. Va segnalato che la Corte non ha condiviso la tesi del ricorrente secondo il quale il diritto di accesso alla giustizia è una norma di ius cogens, almeno allo stato attuale del diritto internazionale, pur confermando la centralità della norma all’interno della Convenzione.
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