Spetterà alla Corte costituzionale chiarire se la mancanza di limiti di durata nei divieti previsti dall’art. 4, comma 4, del Dlgs 6 settembre 2011 n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) sia compatibile con gli articoli 3, 15, 21 e 117 della Costituzione in relazione agli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 10 (diritto alla libertà di espressione) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Con ordinanza n. 46076 depositata il 16 dicembre (46076), la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, ha condiviso la posizione del ricorrente secondo il quale il divieto di possesso e di uso di qualsiasi dispositivo, incluso l’accesso a internet, disposto nei suoi confronti, era in contrasto con le norme convenzionali. Al centro della vicenda la misura di prevenzione dell’avviso orale emesso dal questore nei confronti di una persona già condannata per reati di tentata rapina, rissa e minaccia. Ricostruita la normativa italiana, la Cassazione osserva che il divieto di possedere o utilizzare in tutto o in parte qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente è in grado di incidere sulle libertà fondamentali connesse. Il divieto di accesso a internet – osserva la Suprema Corte – appare in contrasto con la dimensione passiva della libertà di espressione espressamente prevista dall’art. 10 della Convenzione europea che assicura la libertà di ricevere informazioni. Il diritto alla libertà di espressione, inoltre, è un diritto individuale e sociale, che ha acquisito un rilievo ancora maggiore grazie a internet che, come precisato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza del 9 febbraio 2021, nel caso Ramanaz Demir contro Turchia, è un servizio pubblico “funzionale al godimento di molteplici diritti umani”. Proprio la giurisprudenza della Corte europea sull’utilizzo di internet porta la Cassazione a ritenere fondati i dubbi di legittimità costituzionale perché l’assenza di un termine di durata dei divieti stabiliti dal comma 4 dell’art. 4 del Dlgs 159/2011 è una sorta di “spada di Damocle” “permanentemente incombente sulla persona destinataria dell’avviso orale c.d. aggravato”. Dubbi poi sulla legalità convenzionale dell’ingerenza perché non è sufficiente una base legale, ma occorre che un individuo possa adattare la propria concotta alle prescrizioni legali. Nei divieti imposti con l’avviso orale del questore sussiste un deficit di legalità convenzionale perché non è prevedibile “da parte del destinatario della misura di prevenzione, la modalità temporale di esercizio del potere limitativo”. Così, la Cassazione ha passato la parola alla Corte costituzionale al fine di accertare il contrasto con gli articoli 3, 15, 21 e 117 della Costituzione con riguardo agli articoli 8 e 10 della Convenzione europea.
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