La Commissione europea prova a fare chiarezza sulla sentenza Google resa dalla Corte di giustizia Ue il 13 maggio 2014 (C-131/12, Google Spain, google) che ha riconosciuto, almeno in parte, il diritto all’oblio. Nella breve guida (factsheet_rtbf_mythbusting_en), Bruxelles indica i miti che si sono diffusi intorno al giudizio di Lussemburgo indicando la reale portata della sentenza della Corte che, come è noto, ha stabilito che i motori di ricerca sono responsabili del trattamento dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi. In particolare, la Commissione ha precisato che la Corte di giustizia ha messo bene in luce l’importanza di garantire la libertà di espressione. Di conseguenza, in taluni casi, una persona interessata può chiedere la rimozione del proprio nome ma non della vicenda in sé (si veda anche il testo della relazione del Commissario Ue alla giustizia Martine Reicherts (SPEECH-14-607_EN).
La storica sentenza è stata la conseguenza di una richiesta di un cittadino spagnolo che aveva presentato un reclamo all’Agenzia di protezione dei dati: l’uomo sosteneva che il suo cognome, digitato su Google, portava a link di alcuni articoli apparsi su giornali relativi alla vendita all’asta dei propri beni a seguito di un pignoramento. Questo pignoramento aveva avuto luogo molti anni prima ed era, quindi, ad avviso del ricorrente, privo di rilevanza. L’Agenzia spagnola aveva respinto il ricorso contro l’editore del giornale che aveva pubblicato la notizia in modo corretto ma aveva accolto il reclamo contro Google, chiedendo di rimuovere i dati dagli indici del motore di ricerca. L’azienda aveva fatto appello e i giudici di secondo grado, prima di risolvere la questione, hanno chiamato in aiuto la Corte di giustizia Ue. Gli eurogiudici hanno precisato che il gestore di un motore di ricerca effettua un trattamento dei dati con la conseguenza che va applicata la direttiva 95/46. Spetta poi al responsabile del gestore del motore di ricerca eliminare dall’elenco dei risultati i dati che non risultano compatibili con la direttiva e questo anche se non sono stati cancellati dalle pagine web originarie. Senza dimenticare – osserva la Corte – dell’effetto dirompente che hanno i motori di ricerca sui diritti della persona. Pertanto, è proprio il motore di ricerca a dover intervenire a prescindere da quanto fatto da altre pagine web. Detto questo, però, la Corte di giustizia apre uno spiraglio per Google e anche per la libertà d’informazione che, nel ragionamento della Corte, sembra assumere un ruolo di secondo piano, chiarendo che la richiesta di cancellazione deve essere valutata caso per caso e che nella valutazione deve essere considerato anche il ruolo ricoperto dalla persona interessata e il preminente interesse pubblico ad avere informazioni.
Si veda anche il documento dell’OSCE Communique by OSCE Representative on Freedom of the Media on ruling of the European Union Court of Justice | OSCE
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