Gli Stati hanno utilizzato le nuove tecnologie per rafforzare misure di sorveglianza nei confronti dei cittadini, compromettendo il pieno godimento dei diritti umani. Primo tra tutti il diritto alla privacy, sacrificata sull’altare della sicurezza. E’ l’altra faccia della medaglia dell’utilizzo dei nuovi strumenti tecnologici in un quadro internazionale che, a causa di alcuni Stati (si veda lo scandalo che ha coinvolto l’amministrazione Obama che ha attuato un programma di sorveglianza delle rete), diventa simile a un “Grande fratello”, con il diritto alla privacy seppellito dalla esigenze di sicurezza nazionale invocate ogni qualvolta c’è da adottare una misura che segna un passo indietro nella tutela dei diritti umani. L’allarme lo ha lanciato il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e la protezione del diritto alla libertà di espressione, Frank La Rue, nel corso della 23esima sessione del Consiglio Onu dei diritti umani (giugno 2013, A/HRC/23/40, un-human-rights-council-report-surveillance-communications). Se da un lato la rete ha consentito di rafforzare la libertà di espressione, dall’altro lato, però, ha contribuito a introdurre nuove modalità di sorveglianza. Necessario, quindi, correre ai ripari e imporre agli Stati una regolamentazione in linea con i diritti umani. Troppi, infatti, i controlli a tappeto sui cellulari, sulla rete e sulle e-mail. Le intercettazioni – ha precisato il Relatore speciale – sono certo uno strumento utile per la lotta alla criminalità ma devono essere autorizzate dall’autorità giudiziaria. Invece, alcuni Paesi hanno indebolito i controlli e spostato il potere nelle mani del Governo. Nel Regno Unito, ad esempio, le intercettazioni sono autorizzate dal Segretario di Stato e nello Zimbabwe dal Ministro dei trasporti e delle comunicazioni. Nelle raccomandazioni finali, il Relatore speciale chiede agli Stati di adottare standard e regole in grado di garantire la sicurezza delle comunicazioni a ogni individuo e, in particolare, a giornalisti, attivisti dei diritti umani e whistleblowers. Partendo dal presupposto che la sorveglianza nelle comunicazioni è altamente intrusiva e costituisce una minaccia per la società democratica. Nel disporre misure di sorveglianza e intercettazioni è necessario che esse siano previste dalla legge con sufficiente precisione, siano applicate solo se strettamente necessarie e siano disposte tenendo conto del principio di proporzionalità raggiungendo un giusto equilibrio tra i valori in gioco. La sorveglianza, inoltre, non deve essere disposta nei casi in cui sia possibile utilizzare misure meno restrittive. Da punire severamente, poi, le intercettazioni illegali e non autorizzate, disposte, in alcuni casi, addirittura da privati.
Si veda il post del 4 giugno 2011 http://www.marinacastellaneta.it/blog/no-alle-restrizioni-al-flusso-di-informazioni-via-web.html.
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