La Corte europea dei diritti dell’uomo riconosce il valore di “YouTube” come strumento per ricevere informazioni non sempre accessibili attraverso altri media tradizionali e stabilisce il divieto, imposto così agli Stati parti alla Convenzione, di bloccare in modo assoluto l’accesso alla piattaforma che, tra l’altro – scrive la Corte nella sentenza del 1° dicembre 2015 di condanna alla Turchia nel caso Cengiz (AFFAIRE CENGIZ ET AUTRES c. TURQUIE) – permette di avvalersi del cosiddetto “citizen journalism”. Per Strasburgo, il blocco all’accesso a “YouTube” rende inaccessibile la conoscenza di una grande quantità di informazioni danneggiando “considerevolmente i diritti degli internauti e provoca effetti collaterali importanti”. Di qui la constatazione che la Turchia ha violato l’articolo 10 della Convenzione dei diritti dell’uomo che tutela il diritto alla libertà di espressione. Questi i fatti. Tre professori universitari contestavano il divieto, deciso dal Tribunale penale di prima istanza di Ankara (Turchia), con il quale le autorità giudiziarie avevano bloccato l’accesso a “YouTube”. Una decisione dovuta al fatto che all’interno della piattaforma, diffusa in ben 76 Paesi, erano riprodotti 10 video ritenuti offensivi della memoria di Atatürk. I docenti avevano chiesto la rimozione del divieto, ma il Tribunale penale di Ankara, in primo e secondo grado, aveva sostanzialmente ritenuto che i professori non erano da considerare vittime, tanto più che l’accesso non era vietato da altre parti del mondo. Così i docenti hanno fatto ricorso a Strasburgo che ha dato ragione agli utenti di YouTube. Prima di tutto, la Corte ha riconosciuto lo status di vittima dei ricorrenti considerando che i docenti utilizzavano la piattaforma anche per fini professionali, inserendo video delle proprie lezioni e attingendo materiale per ricerche e didattica. Inoltre, come ogni altro individuo, anche i ricorrenti hanno diritto di ricevere informazioni e idee con i diversi mezzi, dalla stampa alla televisione passando attraverso il web. D’altra parte, Strasburgo non ha dubbi nell’affermare che internet è oggi “uno degli strumenti principali per l’esercizio, da parte degli individui, del proprio diritto alla libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee”. Si tratta, infatti, di uno strumento essenziale per la partecipazione alle attività e ai dibattiti relativi a questioni politiche o d’interesse pubblico. YouTube – scrive la Corte – è una fonte di informazione importante e il blocco all’accesso impedisce agli utenti di ricevere informazioni alle quali potrebbe risultare impossibile accedere perché non diffuse con altre modalità. Per la Corte YouTube è un mezzo unico, “tenendo conto delle sue caratteristiche, del grado di accessibilità e soprattutto del suo potenziale impatto”, che non ha equivalenti. E la Corte fa di più valorizzando il ruolo della piattaforma nella diffusione del cosiddetto “citizen journalism” che “porta alla diffusione di informazioni politiche non coperte dai media tradizionali”. Pertanto, la Corte conclude classificando il divieto di accesso come un’ingerenza vietata dall’articolo 10 della Convenzione. Senza dimenticare – prosegue Strasburgo – che il blocco totale all’accesso è stato deciso dai giudici nazionali senza che, però, vi fosse una previsione normativa chiara nel senso di disporre il blocco generale.
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