Per la prima volta, la Corte di Cassazione affronta la questione delle ricadute sul piano interno delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo con le quali, in base all’art. 37 della Convenzione, si prende atto delle dichiarazioni unilaterali degli Stati in causa che riconoscono la violazione convenzionale. La Quinta Sezione penale, infatti, con sentenza n. 16226 depositata 27 aprile (16226), ha affermato che, nel procedimento instaurato dal privato dinanzi alla Corte europea per il riconoscimento della violazione dell’art. 6 della Convenzione (equo processo) per omessa trattazione del procedimento in pubblica udienza, “la declaratoria di cessazione della materia del contendere ai sensi degli artt. 37 CEDU e 62A del Regolamento CEDU, seguita alla dichiarazione unilaterale dello Stato di intervenuta violazione e adottata all’esito di ponderata valutazione della stessa da parte della Corte, pur non costituendo una condanna, implica il riconoscimento della violazione della norma convenzionale ed è vincolante per lo Stato ex art. 46 CEDU”.
A rivolgersi alla Cassazione è stato un uomo destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale, che aveva chiesto un nuovo giudizio perché, a suo avviso, non era stato rispetto l’art. 6 della Convenzione europea in quanto il procedimento si era svolto in udienza camerale in violazione del principio di oralità. L’uomo si era rivolto a Strasburgo che, con decisione del 13 maggio 2014, aveva preso atto della dichiarazione unilaterale del Governo italiano che aveva riconosciuto la propria violazione dell’equità del procedimento. Il ricorso era stato cancellato dal ruolo, ma il Tribunale di Reggio Calabria prima, adito per la declaratoria di non esecutività della confisca definitiva, e la Corte di appello poi, avevano respinto l’istanza ritenendo che dalla decisione della Corte europea non vi fossero effetti diversi rispetto all’accertamento della violazione e non vi fosse un obbligo di rimozione degli effetti del giudicato interno. Di qui il ricorso in Cassazione che si è soffermata sugli effetti sul piano interno della dichiarazione unilaterale dello Stato. E’ vero – precisa la Suprema Corte – che la decisione con la quale la Corte di Strasburgo ha preso atto della dichiarazione unilaterale non è una condanna, ma essa ha “una oggettiva valenza ricognitiva della violazione della norma convenzionale” tanto più che la Convenzione – come stabilito dalla Corte europea – “va applicata così come resa viva nelle affermazioni di principio estrapolate dalle sentenze della Corte EDU”. Detto questo, però, la Corte di Cassazione, in relazione a precedenti pronunce e al fatto che l’impugnazione del ricorrente era stata proposta con un mezzo diverso da quello prescritto e anche con ritardo, nonché per la genericità dei motivi, non ha accolto l’istanza di revisione.
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