Le regole Ue sull’orario di lavoro, con il collegato diritto alle ferie, si applicano ai giudici di pace che svolgono funzioni giurisdizionali in modo significativo, che non possono decidere autonomamente le cause da trattare e che hanno obblighi disciplinari analoghi a quelli dei magistrati professionali. E’ l’Avvocato generale Juliane Kokott a dirlo, nelle conclusioni depositate oggi nella causa C-658/18 (C-658:18). La domanda pregiudiziale è stata presentata da una giudice di pace che si era rivolta, a sua volta, a un giudice di pace di Bologna per l’emissione di un decreto ingiuntivo contro il Governo italiano al fine di ottenere il compenso per il mese di agosto e, in particolare, un importo pari a una retribuzione di un magistrato professionale con anzianità di servizio di almeno 14 anni o, in alternativa, un’indennità. La donna sosteneva che l’Italia aveva violato l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e l’articolo 7 della direttiva 2003/88 su taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (recepita in Italia con Dlgs n.66/2003, modificato dal n. 213/2004).
Chiarito che i giudici di pace italiani rientrano tra le autorità giurisdizionali competenti a effettuare un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea proprio perché è garantito il requisito dell’indipendenza oggettiva esterna e soggettiva interna, l’Avvocato generale è passata ad analizzare la possibilità di qualificare i giudici di pace come lavoratori ai sensi della direttiva 2003/88. La nozione di lavoratore – scrive Kokott – ha una portata autonoma, propria del diritto dell’Unione ed è irrilevante, ai fini di tale inquadramento, che il giudice abbia natura onoraria ai sensi del diritto nazionale. Ciò che conta, in base alla direttiva, è che la persona interessata fornisca, per un certo periodo di tempo, sotto la direzione e a favore di un’altra persona, una prestazione per la quale riceve una retribuzione. L’Avvocato generale ha poi messo in risalto la portata dell’impegno lavorativo del giudice di pace e l’impossibilità di svolgere l’attività di avvocato all’interno del circondario nel quale svolge l’indicata funzione. Inoltre, ai giudici di pace sono applicate le stesse trattenute di altri lavoratori, mentre è irrilevante che non vengano riscossi contributi previdenziali e che i giudici di pace non godano di una tutela previdenziale. Per quanto riguarda il vincolo di subordinazione, è vero che nell’adozione di decisioni giudiziali i giudici di pace non ricevono alcuna istruzione, ma “ciò non impedisce di considerarli lavoratori” perché, in ogni caso, i giudici sono tenuti a partecipare alle udienze in determinati orari e in determinati luoghi e “sono assoggettati a requisiti sotto il profilo disciplinare analoghi a quelli applicati ai magistrati professionali”. Di qui la conclusione sull’applicabilità dell’articolo 7 della direttiva e il diritto a un minimo di quattro settimane di ferie annuali retribuite. Sulla rivendicazione relativa all’esistenza dello stesso diritto alle ferie retribuite e la stessa indennità per le ferie dei magistrati professionali italiani, l’Avvocato generale, alla luce dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato come interpretato dalla Corte Ue, ha confermato l’applicazione dell’accordo per le attività analoghe a quella della ricorrente. Per quanto riguarda la diversità delle condizioni di lavoro dei giudici di pace rispetto ai magistrati professionali, l’Avvocato generale ha evidenziato le differenti modalità di accesso, che potrebbero giustificare una diversità di trattamento, nonché la rilevanza e la difficoltà delle cause trattate e l’impossibilità per i giudici di pace di operare in organi collegiali. Inoltre, i magistrati professionali svolgono funzioni in gradi superiori e in procedimenti di maggiore importanza. Pertanto, per alcuni aspetti come l’ammontare del compenso durante le ferie potrebbe sussistere un “motivo oggettivo per la disparità di trattamento fra giudici di pace e magistrati professionali italiani con riferimento all’indennità per ferie”. In ultimo, sulla responsabilità personale del giudice per dolo o colpa grave e nei casi in cui sia prevista una sua responsabilità per l’applicazione del diritto dell’Unione disapplicando le norme interne, l’Avvocato generale ha sottolineato – come è ovvio – che “in caso di violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea” la norma interna deve essere interpretata “nel senso che l’applicazione del diritto prioritario dell’Unione non fonda la responsabilità del giudice”, anche perché in nessun caso il giudice può rischiare una sanzione per la corretta applicazione del diritto dell’Unione.
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