Se sul piano nazionale i giornalisti e gli editori si trovano sempre più spesso a fronteggiare cause per diffamazione e connesse condanne, anche per il mancato rispetto dei parametri stabiliti a livello internazionale a tutela della libertà di stampa, la Corte europea dei diritti dell’uomo prosegue nell’opera di rafforzamento dell’attività dei giornalisti, considerata non solo come esercizio della libertà di espressione dei reporter, ma soprattutto come strumento essenziale per assicurare la democrazia. Ultime in ordine di tempo le sentenze depositate da Strasburgo il 2 ottobre relative a tre cause contro la Russia (Fedchenko n. 3 (CASE OF FEDCHENKO v. RUSSIA (No. 3), n. 4 (CASE OF FEDCHENKO v. RUSSIA (No. 4), n. 5 (CASE OF FEDCHENKO v. RUSSIA (No. 5)). Le vicende avevano al centro il giornalista di un settimanale che aveva pubblicato un articolo nel quale contestava a un politico l’uso dell’automobile di servizio per fini privati, un altro testo relativo a una sospetta frode del vicegovernatore regionale e un altro articolo su un altro governatore regionale accusato di aver favorito il proprietario di uno shopping center. In tutti e tre i casi l’editore/giornalista era stato citato in giudizio in sede civile ed era stato costretto a versare un risarcimento e a pubblicare una rettifica. Di qui il ricorso a Strasburgo che ha dato ragione all’editore/giornalista e condannato la Russia per violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea che assicura la libertà di stampa. La Corte, chiarito che la norma convenzionale tutela anche la scelta stilistica dei giornalisti che hanno diritto a utilizzare un certo livello di provocazione, ha tenuto a sottolineare che i procedimenti per diffamazione a danno dei giornalisti, anche in sede civile, procurano uno stress nel professionista che ha diritto a un indennizzo per il danno non patrimoniale subito.
La Corte ha precisato che la Convenzione tutela anche il diritto alla reputazione dei soggetti al centro degli articoli, ma questo solo nei casi in cui la lesione del diritto alla reputazione raggiunga un determinato livello di gravità, superando una certa soglia e provocando un pregiudizio al diritto alla vita privata. Situazione che non si era verificata nei casi in esame. Nella sentenza Fedchenko n. 3, l’azione di condanna sul piano interno era stata dovuta al ricorso di un membro della Duma regionale che, secondo il giornalista, aveva usato l’automobile per fini privati, proceduto a cambi di “casacca” ed era stato coinvolto in attività imprenditoriali. Nell’articolo erano state usate espressioni che mostravano un giudizio di valore sull’operato del politico ma, sul punto, la Corte ribadisce che i politici devono essere pronti ad essere oggetto di scrutinio per ogni singola parola e azione. Inoltre, gli articoli devono essere esaminati nel loro complesso, non estrapolando singole espressioni. E’ vero che il giornalista aveva utilizzato il termine “dumped” per indicare il passaggio del politico a un altro gruppo ma questo costituiva un giudizio di valore, un’espressione sarcastica che non ha superato il grado di provocazione concesso alla stampa. Nell’articolo, inoltre, il reporter aveva riportato dei rumors sul coinvolgimento del politico in un’attività imprenditoriale. Anche su tale profilo, la Corte ha dato ragione al giornalista proprio perché la stampa ha diritto a riportare anche rumors e non solo fatti, che sono protetti in base all’articolo 10 nei casi in cui non siano senza fondamento. Nel caso di specie, non vi era stato alcun danno alla reputazione.
Per il caso n. 4, la Corte sottolinea che un requisito essenziale per le azioni di diffamazione è che l’articolo si riferisca a una specifica persona. In caso contrario, i giornalisti sarebbero sommersi da azioni per diffamazione avviate da tutti coloro che appartengono a una determinata categoria al centro di un articolo, come politici o funzionari dello Stato. Questo sottoporrebbe i giornalisti a un onere sproporzionato ed eccessivo perché sarebbero costretti a destinare risorse in controversie senza fine, con un inevitabile chilling effect sulla stampa che adempie ai propri doveri di organo di informazione e cane da guardia della società. In un articolo, il giornalista aveva riportato casi di corruzione delle autorità regionali citando nominativamente un politico solo in un passaggio. E’ vero che era stata pubblicata anche una fotografia ma l’immagine ritraeva il politico insieme ad altri. Per la Corte, quindi, definire alcune autorità regionali come ladri nel contesto dell’articolo del giornalista non ha determinato il superamento del livello di esagerazione e provocazione coperto dalla libertà di stampa. Così Strasburgo ritiene che la condanna comminata al giornalista non ha rispettato gli standard fissati dall’articolo 10 della Convenzione. Non solo. La Corte pone un freno alle difese dei Governi in causa che minimizzano le azioni contro i giornalisti trincerandosi dietro la circostanza che l’azione giudiziaria era di natura civile e non penale. Se l’ingerenza non rispetta gli standard internazionali anche l’imposizione di una multa decisa in un procedimento civile è contraria alla Convenzione europea. Strasburgo ha disposto, così, la liquidazione per i danni non patrimoniali perché l’editore/giornalista ha subito uno stress a causa di un procedimento giudiziario contrario alle regole sulla libertà di stampa.
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