La Corte di giustizia dell’Unione europea interviene a chiarire i criteri per l’individuazione del giudice competente tra i diversi Stati membri dell’Unione europea nei contratti di lavoro transfrontalieri in base al regolamento Ue n. 1215/2012 sulla competenza giurisdizionale, l’esecuzione e il riconoscimento delle decisioni in materia civile e commerciale (Bruxelles I bis). Con la sentenza depositata il 25 febbraio 2021 nella causa C-804/19 (Contratto di lavoro), Lussemburgo ha precisato che le norme del regolamento Ue si applicano anche ai casi in cui l’attività lavorativa, prevista dal contratto, non sia stata eseguita per causa non imputabile al lavoratore. A chiedere l’intervento di Lussemburgo è stato il Tribunale del Land di Salisburgo alle prese con una controversia tra una cittadina austriaca e una società con sede a Monaco di Baviera che, dopo aver assunto la donna per tre mesi, come agente di manutenzione per le attività di pulizia, non le aveva affidato alcun lavoro, licenziandola al termine del contratto. Così la lavoratrice si era rivolta ai giudici di Salisburgo per ottenere gli arretrati e l’indennità di compensazione per le ferie non retribuite, ma il difensore dell’azienda aveva eccepito il difetto di giurisdizione del giudice austriaco.
Lussemburgo ha precisato, in primo luogo, che la nozione di “contratto individuale di lavoro” propria del regolamento deve essere interpretata in modo autonomo con l’obiettivo di assicurare l’applicazione uniforme “delle regole sulla competenza stabilite dal regolamento in tutti gli Stati membri”. Pertanto, è necessario che sussista un vincolo di subordinazione del lavoratore nei confronti del datore di lavoro e che il dipendente sia tenuto a svolgere, per un determinato periodo e dietro retribuzione, una specifica attività, mentre non è necessario “che il lavoro oggetto di tale contratto sia stato o meno eseguito”, per motivi non imputabili al lavoratore. Per la Corte, chiarita l’esistenza di una controversia con elementi di estraneità e di un convenuto domiciliato in uno Stato membro, è evidente che le norme del regolamento n. 1215/2012 debbano prevalere sulle disposizioni nazionali sulla competenza. In base all’art. 21 – osserva Lussemburgo – il convenuto può essere citato dinanzi ai giudici dello Stato in cui è domiciliato o dinanzi ai giudici dello Stato membro del luogo in cui o da cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività o dinanzi ai giudici dell’ultimo luogo in cui o da cui detta attività era svolta abitualmente; o, se il lavoratore non svolga o non abbia svolto abitualmente la propria attività in un solo Paese, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui è o era situata la sede d’attività presso la quale è stato assunto. L’articolo 21 non specifica l’ipotesi in cui l’attività lavorativa non sia stata prestata per causa non imputabile al lavoratore. Sul punto, la Corte Ue giunge alla conclusione che, stando al dato letterale, “il luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività” è quello in cui la parte essenziale dell’attività viene effettivamente prestata, ma nei casi in cui detta attività non sia stata prestata va individuato il luogo che risulta dall’intenzione espressa “dalle parti del contratto in merito al luogo di esecuzione”. Nel caso in esame, nel contratto era chiarito che il luogo di lavoro sarebbe stata la città di Monaco e, quindi, il lavoratore non deve rivolgersi ai giudici austriaci, ma a quelli tedeschi, salvo nel caso in cui il giudice nazionale accerti che la società tedesca aveva un ufficio a Salisburgo (come sembrerebbe almeno nella fase iniziale del rapporto di lavoro). In questo caso, in linea con l’articolo 7, il lavoratore potrebbe avvalersi di tale possibilità, anche se spetta ai giudici nazionali accertare l’esistenza di una succursale o di un’altra sede partendo dal presupposto che le nozioni del regolamento vanno interpretate in modo autonomo rispetto all’ordinamento interno.
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