La Corte di giustizia dell’Unione europea rafforza il potere di intervento degli Stati che possono ordinare a Facebook e, quindi, a social network analoghi, di rimuovere le informazioni memorizzate con un contenuto equivalente ad altre dichiarate in precedenza illecite. Non solo. Le autorità nazionali possono estendere gli effetti dell’ingiunzione a livello mondiale. Con la sentenza depositata il 3 ottobre nella causa C-18/18 (C-18:18), gli eurogiudici hanno ampliato gli obblighi di rimozione dei social al di là di quanto stabilito dalla direttiva 2000/31 sul commercio elettronico che prevede un’esenzione dalla responsabilità del prestatore di servizi non a conoscenza dell’attività o dell’informazione illecita, senza però imporre su Facebook un obbligo generale di sorveglianza. La controversia nazionale, che ha portato la Corte suprema di Vienna a rivolgersi in via pregiudiziale a Lussemburgo, vedeva al centro la presidente austriaca del gruppo parlamentare dei Verdi e Facebook Irlanda, sede europea della piattaforma americana. Un utente di Facebook aveva condiviso un articolo pubblicato su una rivista online inserendo un commento con contenuti considerati diffamatori dal giudice nazionale, che aveva accolto l’azione inibitoria contro Facebook. Il social network aveva disabilitato l’accesso in Austria al contenuto pubblicato inizialmente. Per la Corte Ue è vero che l’articolo 14 della direttiva 2000/31 esclude la responsabilità del prestatore di servizi di hosting se non è a conoscenza dell’attività o dell’informazione illecita o se agisce immediatamente per la rimozione o la disabilitazione all’accesso, ma gli Stati membri possono adottare ingiunzioni per tutelare la vittima di un illecito. E questo anche perché l’articolo 18 della direttiva attribuisce un “potere discrezionale particolarmente ampio” agli Stati nella previsione di ricorsi o procedure che portino all’adozione dei provvedimenti necessari per “porre fine a qualsiasi presunta violazione” o danni agli interessati. L’assenza di un obbligo generale, d’altra parte, non include gli obblighi di sorveglianza “in casi specifici”, necessari a impedire la trasmissione rapida di informazioni illecite e memorizzate da Facebook. Tuttavia, per la Corte Ue i prestatori di servizi di hosting non sono destinatari di un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano, così come non hanno un obbligo generale di ricercare attivamente commenti illeciti. Pertanto, la sorveglianza e la ricerca imposta a Facebook dovrà essere limitata alle informazioni che contengono elementi specificati nell’ingiunzione, senza un obbligo di valutazione autonoma del social network che “può ricorrere a tecniche e mezzi di ricerca automatizzati”.
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