Prima di decidere sulla consegna di un condannato, le autorità nazionali italiane, chiamate all’esecuzione di un mandato di arresto europeo, sono tenute a verificare se, nel singolo caso, ci sono rischi di trattamenti disumani e degradanti provocati dal regime carcerario del Paese di emissione. E’ la conclusione cui è giunta la Corte di Cassazione, seconda sezione penale, con la sentenza n. 45757 depositata il 31 ottobre (45757-mae). Il caso ha al centro un cittadino rumeno destinatario di un mandato di arresto europeo emesso dalla Romania ai fini dell’esecuzione della pena inflitta con sentenza definitiva. La Corte di appello di Catanzaro aveva dato il via libera alla consegna, ma la Cassazione aveva annullato con rinvio. A fronte di ulteriori informazioni assunte dai giudici di appello, era stata confermata la consegna. Di qui il nuovo ricorso in Cassazione. Ad avviso del ricorrente, i giudici di appello hanno agito in violazione dell’articolo 1 della decisione quadro 2002/584 sul mandato di arresto europeo e le procedure di consegna tra Stati membri (recepita in Italia con legge n. 69/2005), nonché dell’articolo 18 della legge in esame e dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che vieta trattamenti disumani e degradanti. La Cassazione ha accolto il ricorso richiamando la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 5 aprile 2016 (cause C-404/15 e C-659/15) con la quale è stato chiarito che lo Stato membro di esecuzione è tenuto ad accertare concretamente, in relazione alla singola persona richiesta in consegna, se sussiste un rischio di trattamenti disumani e degradanti. Centrale, quindi, l’accertamento del “rischio concreto” sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e aggiornati con riferimento allo stato di detenzione. Ed invero, secondo la Cassazione, nel caso in esame, la Corte di appello di Catanzaro ha dato il via libera alla consegna senza, però, che le fossero trasmesse tutte le informazioni richieste e che le suddette informazioni fossero individualizzate. Di conseguenza, proprio a causa dell’insufficienza delle informazioni individualizzanti e dell’inadeguatezza di alcuni dati, con particolare riguardo a quelli relativi allo spazio individuale minimo garantito, poiché non può essere escluso il rischio di trattamenti disumani e degradanti, la Cassazione ha disposto l’annullamento della decisione di consegna, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro
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