Un groviglio normativo sciolto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Con la sentenza del 28 luglio (C-191/15, C-191:15) Lussemburgo ha stabilito la legge da applicare all’azione inibitoria conseguenza di un utilizzo di clausole abusive contrattuali nel commercio elettronico che va determinata in base al regolamento n. 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II). A rivolgersi agli eurogiudici è stata la Corte suprema austriaca alle prese con una controversia tra la società Amazon EU e l’associazione per l’informazione dei consumatori austriaca. Amazon Eu, stabilita in Lussemburgo e attiva anche in Austria con un sito internet con un dominio con estensione “.de”, aveva inserito in modo sistematico nelle condizioni generali contrattuali clausole non negoziate con le quali affermava di non riconoscere clausole “difformi apposte dal cliente” e di procedere per i pagamenti vista fattura a utilizzare i calcoli probabilistici per la valutazione del rischio di inadempimento raccolti da una società tedesca. I giudici di primo grado avevano emesso l’ingiunzione a non utilizzare queste clausole come richiesto dall’associazione per i consumatori, ma i giudici di appello avevano annullato la decisione. Così, la Corte suprema, prima di pronunciarsi ha chiesto chiarimenti alla Corte Ue. Stabilito che alla luce della direttiva 93/13 sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori una clausola non negoziata individualmente è abusiva se induce in errore il consumatore medio, la Corte ha qualificato come tale la clausola che fa intendere al consumatore che, per regolare gli acquisti via web, si applica la legge in cui ha sede il professionista/venditore senza chiarire che vanno applicate anche altre norme a tutela del consumatore e, in particolare, le disposizioni imperative della legge che risulterebbe applicabile in caso di mancata attuazione della clausola imposta dal venditore secondo quanto previsto dal regolamento n. 593/2008 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I). Tuttavia, per le azioni inibitorie, poiché l’impiego delle indicate clausole provoca una violazione dell’ordinamento giuridico e una responsabilità extracontrattuale derivante da fatto illecito, la Corte ha stabilito la necessità di applicare il regolamento Ue n. 864/2007 e, in particolare, le disposizioni sulla concorrenza sleale (articolo 6) che comportano il richiamo della legge del Paese in cui sono lesi o rischiano di essere lesi i rapporti di concorrenza o gli interessi collettivi dei consumatori. Il principio della lex loci damni determina così che, nel caso di offerte rivolte da una società di commercio elettronico direttamente a un mercato – in questo caso quello austriaco – deve essere applicata la legge del Paese in cui sono lesi gli interessi collettivi dei consumatori. Bocciato, quindi, l’utilizzo della legge dello Stato in cui ha sede la società, malgrado l’inserimento di una clausola di questo genere nelle condizioni generali. Per le questioni relative al trattamento dei dati, va applicato l’articolo 4 della direttiva 95/46 sulla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, con la conseguenza che la disciplina richiamata è quella dello Stato membro verso il quale l’impresa dirige le proprie attività se il trattamento è affidato allo stabilimento situato in detto Stato membro.
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