Il caso Stamina arriva a Strasburgo. Ma la Corte europea dei diritti dell’uomo, con decisione del 6 maggio (Durisotto contro Italia, ricorso n. 62804/13, DURISOTTO v. ITALY), ha respinto un ricorso presentato contro l’Italia dal padre di una malata che aveva chiesto di avvalersi di quella pratica la cui scientificità non è stata accertata. Ad avviso del ricorrente, l’Italia avrebbe violato l’articolo 8 della Convenzione, che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare, e l’articolo 14 che vieta ogni forma di discriminazione. Questo perché i giudici nazionali, dopo aver ordinato all’ospedale della città di somministrare alla figlia affetta da una malattia neurodegenerativa le cellule staminali alla base della cura nota come metodo Stamina, avevano accolto la richiesta dell’ospedale secondo il quale non era possibile la somministrazione delle cure in quanto il trattamento non era iniziato prima dell’entrata in vigore del Decreto n. 24/2013.
Prima di tutto, la Corte europea afferma che nella somministrazione di cure compassionevoli gli Stati godono di un ampio margine di discrezionalità. A ciò si aggiunga che con riguardo al metodo in discussione non vi è stata alcuna prova scientifica in ordine alla validità del trattamento, né la Corte può sostituirsi alle valutazioni delle autorità nazionali riguardo ai rischi che determinate cure potrebbero arrecare ai pazienti. Pertanto, il diniego opposto dall’Italia appare come una misura necessaria in un società democratica. La Corte europea ha escluso anche una violazione del divieto di discriminazione perché la diversità di trattamento tra coloro che avevano iniziato la cura prima dell’adozione del decreto n. 24 e quelli che ne avevano chiesto l’utilizzo dopo non ha carattere discriminatorio.
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