Una catena di reati collegati alla tratta degli esseri umani che deve essere spezzata, anche perché l’età delle vittime della tratta diminuisce costantemente. Lo scrive la Commissione europea nella seconda relazione presentata il 3 dicembre 2018 sui progressi compiuti nella lotta alla tratta degli esseri umani secondo quanto previsto dalla direttiva 2011/36/UE, relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime (che sostituisce la decisione quadro 2002/629/GAI), recepita in Italia con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24 (com-2018-777-report_en). Nel rapporto sono riportate le informazioni raccolte dai relatori nazionali e trasmesse al coordinatore anti-tratta dell’Unione europea, le azioni della Commissione Ue e le informazioni delle altre agenzie dell’Unione, nonché di altre organizzazioni internazionali. Vediamo i numeri riferiti al 2015-2016. Sono stati 20.532 i casi di vittime registrate nell’Unione europea, delle quali oltre la metà (56%) aveva come scopo lo sfruttamento sessuale, il 26% lo sfruttamento del lavoro, il 18% l’accattonaggio forzato e il prelievo di organi. A fronte di tante vittime la reazione non è incisiva se si tiene conto che sono state 5.979 le azioni penali e 2.927 le condanne per tratta di esseri umani. Oltre i 2/3 delle vittime registrate è costituito da donne e bambini (circa il 23%). Non mancano, tra le vittime, i cittadini Ue, con nazionalità di Romania, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia e Bulgaria. Tra i cittadini di Paesi terzi, il numero maggiore di vittime proviene da Nigeria, Albania, Vietnam, Cina ed Eritrea.
La Commissione ha chiesto agli Stati una maggiore attenzione nella raccolta dei dati e ha rilevato che i trafficanti “tendono a condurre le loro vittime in Paesi in cui la prostituzione è regolamentata e praticata legalmente”. Per quanto riguarda lo sfruttamento del lavoro, i settori più colpiti sono, tra gli altri, l’edilizia, l’agricoltura, i servizi di assistenza, i servizi di pulizia e i lavori domestici. Bruxelles chiede agli Stati un maggiore impegno per contrastare la cultura dell’impunità e aumentare e rendere più efficaci le azioni penali e le condanne. Non solo. Alle vittime deve essere garantito un risarcimento che non può certo essere ostacolato da intoppi burocratici come molto spesso accade.
Il documento di lavoro (SWD(2018)473, SWD), che accompagna la comunicazione, contiene anche un allegato con gli aggiornamenti sull’attuazione della direttiva 2004/81 del 29 aprile 2004 sul titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di Paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti. In particolare, è evidenziato che, nel 2017, è stata l’Italia ad aver concesso il numero più alto di permessi di soggiorno per primo ingresso alle vittime del traffico di esseri umani: 394 a fronte dei 351 del 2016, seguita dai Paesi Bassi a 153, dalla Spagna a 127, dalla Francia a 113. Alcuni Paesi come Malta e la Grecia sono a quota zero.
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