Beni archeologici e legge italiana: la Cedu dice sì all’inversione dell’onere della prova a carico del proprietario

La Corte europea dei diritti dell’uomo, con decisione del 23 settembre (ricorso n. 61781/08, TORNO v. ITALY) è intervenuta a chiarire la compatibilità della legge n. 364 del 20 giugno 1909 sull’inalienabilità delle antichità e delle belle arti con l’articolo 1 del Protocollo 1 della Convenzione dei diritti dell’uomo che assicura la tutela del diritto di proprietà. A rivolgersi a Strasburgo sono stati tre cittadini proprietari di alcuni beni archeologici. Il ministero della cultura considerava quei beni come patrimonio indisponibile dello Stato e aveva agito in giudizio per chiederne la restituzione. Il ricorso del Ministero era stato respinto in primo e secondo grado sul presupposto che il Ministero doveva provare che gli scavi, che avevano portato alla scoperta dei beni, erano stati compiuti dopo l’entrata in vigore della legge. La Cassazione aveva invece annullato la pronuncia e chiesto un nuovo giudizio. La Corte di appello ha così ribaltato il primo verdetto, con una pronuncia confermata in Cassazione. Spetta al proprietario – hanno stabilito i giudici italiani – provare che il materiale archeologico era stato prelevato prima dell’entrata in vigore della legge n. 364. Un’inversione dell’onere della prova a carico dei proprietari che per la Corte europea è del tutto conforme alla Convenzione, anche in ragione del pubblico interesse che sottende la protezione di beni di elevato valore culturale, artistico e archeologico. Per Strasburgo, gli Stati hanno un ampio margine di apprezzamento in ordine alle misure relative all’uso della proprietà. Tale discrezionalità – osserva la Corte europea – è ancora più ampia se lo Stato ha l’obiettivo di preservare il patrimonio culturale e artistico del Paese, la cui protezione è affidata allo Stato. Di conseguenza, affermare come ha fatto la Cassazione, una presunzione di proprietà dello Stato e riversare l’onere della prova sul momento in cui sono stati acquisiti i beni sul proprietario non costituisce una violazione della Convenzione. Si tratta, infatti, di un’ingerenza proporzionata fondata su una norma chiara che protegge coloro che già possedevano i beni prima dell’entrata in vigore della legge e che stabilisce norme chiare per il futuro.

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