L’avvocata tedesca, iscritta nell’Ordine degli avvocati di Berlino e alla Cassa previdenziale forense tedesca, in linea con le regole Ue sul divieto di discriminazione in base alla nazionalità, non è tenuta a comunicare i redditi anche alla Cassa Nazionale di previdenza ed assistenza forense italiana. È la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 16589 depositata il 14 giugno (16589) a chiarire, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, gli obblighi di comunicazione alla Cassa forense italiana a carico del professionista cittadino di uno Stato membro iscritto nell’albo di un altro Paese membro. La Cassa nazionale forense aveva impugnato la pronuncia della Corte di appello di Milano con la quale era stato affermato che l’avvocata non aveva l’indicato obbligo. La Suprema Corte ha respinto il ricorso rilevando che gli avvocati iscritti all’Ordine e alla Cassa di previdenza di un altro Stato membro non hanno l’obbligo di inviare le comunicazioni sui redditi professionali alla Cassa nazionale forense italiana nel momento in cui abbiano optato per la comunicazione all’Ordine di un altro Stato. Per la Corte di Cassazione, poiché gli avvocati italiani iscritti in altri albi e casse previdenziali, che abbiano esercitato l’opzione a favore di tali casse, non sono tenuti alla comunicazione alla Cassa forense, si ricava che “anche l’avvocato appartenente ad un Paese dell’Unione europea iscritto all’albo del Paese di provenienza, nonché alla relativa cassa previdenziale estera deve ritenersi destinatario della disposizione esonerativa dell’obbligo dichiarativo” perché, in caso contrario, si verificherebbe una discriminazione sulla base della nazionalità e una violazione del diritto alla libertà di stabilimento, con conseguente violazione del diritto dell’Unione. In particolare, la Suprema Corte osserva che sono da qualificare come restrizioni fondate sulla nazionalità le norme interne che – come affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza C-255/97 – “siano suscettibili di porre i cittadini di altri Stati membri in una situazione di diritto e di fatto sfavorevole rispetto a quella di cui godono coloro che hanno la cittadinanza dello Stato ospitante”. Di conseguenza, lo Stato di stabilimento non può adottare misure che prevedano un regime differenziato in base alla nazionalità che provochino discriminazioni dirette o indirette e che siano in grado di determinare un sicuro svantaggio per i cittadini di altri Stati membri. Pertanto, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della Cassa forense, escludendo l’obbligo di comunicazione a carico dell’avvocata tedesca.
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