Aumentato il lavoro della Corte europea nel 2010

Boom di nuovi ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo: oltre 61.300 nuovi casi presentati alla fine del 2010, che vuol dire un più 7% rispetto all’anno precedente. Un trend chiaro, segnale da un lato, del successo della Corte europea e, dall’altro lato, del fatto che gli Stati devono fare meglio, sul piano interno, per la protezione dei diritti. E’ quanto risulta dalla relazione annuale sull’attività della Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2010 presentata nei giorni scorsi dal Presidente Jean-Paul Costa(http://www.echr.coe.int/ECHR/EN/Header/Reports+and+Statistics/Reports/Annual+Reports/).

Sono 5 gli Stati dai quali sono arrivati a Strasburgo, nel 2010, il maggior numero di ricorsi. Svetta su tutti la Russia (14.309), seguita dalla Romania (5.992), dalla Turchia (5.821), dalla Polonia (5.777) e dall’Italia (3.852). Che lasciano indietro tutti gli altri. Nel complesso, poi, i dati sui ricorsi mettono a rischio intasamento la Corte di Strasburgo: sono 139.650 i ricorsi già attribuiti a un giudice o a una camera. Ben 40.295 riguardano la Russia, 15.206 la Turchia, 11.950 la Romania, 10.434 l’Ucraina e 10.208 (7.158 quelli del 2009) l’Italia, che non riesce a risolvere il problema dell’eccessiva durata dei processi. Per quanto riguarda le sentenze di condanna pronunciate nel 2010, l’Italia ha totalizzato 61 condanne su 98 sentenze. Al vertice della lista nera sempre la Turchia con 228 condanne, tallonata dalla Russia con 204, dalla Romania con 135, dall’Ucraina che ha totalizzato 107 condanne e dalla Polonia a quota 87. Scandagliando il dato italiano, 44 condanne hanno riguardato la durata eccessiva dei processi, 9 il diritto all’equo processo, 6 il diritto di proprietà, 5 la non esecuzione delle sentenze interne, 1 trattamenti disumani e degradanti. L’Italia, quindi, scala la classifica negativa per le condanne dovute alla durata eccessiva dei processi passando dal 5 posto in assoluto, al 3°, preceduta per numero di condanne nel settore solo da Turchia (83) e da Ucraina (60).

Rimandato il giudizio sugli effetti del Protocollo n. 14 in vigore dal 1° giugno 2010, anche se è da segnalare l’incremento del 16% rispetto all’anno precedente della produttività della Corte, con l’esame di ben 41.000 ricorsi, 2.660 dei quali arrivati a sentenza. Cresce però del 17% l’arretrato.

Sul fronte dei contenuti, aumentano le sentenze su materie sensibili: dalla fecondazione eterologa in vitro il cui divieto assoluto non è compatibile con la Convenzione europea ( sentenza del 1° aprile 2010, S.H e altri contro Austria) ai matrimoni omosessuali con la Corte che ha stabilito, nella sentenza del 24 giugno 2010 (Schalk e Kopf contro Austria), che spetta agli Stati stabilire se prevedere nel proprio ordinamento il matrimonio anche per coppie dello stesso sesso. Fino alla sentenza del 16 dicembre (A, B e C. contro Irlanda), con la quale la Corte ha condannato l’Irlanda per non aver permesso a una donna, malata di cancro, di ricorrere all’aborto malgrado i rischi per la salute che potevano derivare dalla prosecuzione della gravidanza, consentendo, per la prima volta, la possibilità di invocare, in questi casi, l’articolo 8 che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

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