Attribuzione della genitorialità: freno della Cassazione alla registrazione della madre intenzionale

Senza sosta i contrasti sul rapporto di filiazione con il genitore intenzionale. La Corte di cassazione, prima sezione civile, con ordinanza n. 511/2024 depositata l’8 gennaio (511) ha accolto il ricorso del Ministero dell’interno il quale aveva impugnato il provvedimento della Corte di appello di Firenze che aveva riconosciuto la filiazione della madre intenzionale di una coppia dello stesso sesso che aveva fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero. La coppia, una donna cittadina italiana, l’altra statunitense, si era sposata negli Stati Uniti e aveva fatto ricorso alla fecondazione eterologa. Il bambino era nato in Italia e le donne avevamo chiesto all’ufficiale di stato civile di registrare entrambe le donne come genitrici. L’ufficiale di stato civile aveva respinto la richiesta, indicando solo la madre partoriente come genitrice, così come il Tribunale di Firenze, mentre la Corte di appello aveva dato il via libera alla registrazione, ritenendo, inoltre, che fosse applicabile il diritto del Wisconsin alla luce dell’articolo 33 della legge n. 218/95 che dispone l’accertamento dello status del figlio sulla base della legge nazionale del figlio o, se più favorevole, sulla base della legge dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino, al momento della nascita. Nel caso in esame sia la madre intenzionale sia il figlio sono cittadini statunitensi, con la possibilità di avvalersi della legge del Wisconsin.

La Cassazione non ha condiviso la conclusione della Corte di appello. Nel caso in esame, infatti, non era stata richiesta la trascrizione di un atto di nascita formato all’estero e, quindi, le donne non erano tenute a fare ricorso alla procedura prevista dall’articolo 67 della legge n. 218/95. L’unico strumento utilizzabile per contestare la legittimità del rifiuto opposto dall’ufficiale di stato civile, precisa la Cassazione, è l’articolo 95 , comma 1, del dPR n. 396/2000, anche se “va escluso che con tale procedimento si possa conseguire l’auspicato risultato e cioè il riconoscimento dello status filiationis ex art. 250 cod.civ.”. La Suprema Corte precisa che all’ufficiale di stato civile italiano era stato richiesto un atto di nascita ed era così applicabile unicamente la legge nazionale, “nel rispetto delle modalità indicate dall’art. 30 del dPR n. 396/2000”, senza alcun rinvio alla legge del Wisconsin. “Le disposizioni che regolano l’ordinamento dello stato civile – prosegue la Cassazione – non rientrano nel campo della legge n. 218/1995”. Lo stesso articolo 33, d’altra parte, si occupa dei criteri per individuare il diritto applicabile per determinare lo status  di figlio “e non già la disciplina regolamentare di formazione degli atti di nascita che hanno funzione probatoria non costitutiva del diritto di status”. La Corte di appello, quindi, nell’applicare l’art. 33 ha violato la legge e la sua pronuncia deve essere cassata senza rinvio.

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