Il principio della lex mitior e del divieto di applicazione retroattiva di una legge che prevede pene più gravi va applicato anche nel caso di crimini di guerra. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza resa dalla Grande Camera il 18 luglio 2013 (Maktouf e Damjanovic c. Bosnia Erzegovina, ricorsi n. 2312/08 e 34179/09, AFFAIRE MAKTOUF ET DAMJANOVIC c. BOSNIEHERZEGOVINE). Alla Corte si erano rivolti due individui condannati dalla Corte della Bosnia Erzegovina, istituita nel 2002, con la presenza di giudici internazionali, per crimini di guerra commessi durante il conflitto del 1992. Le pene erano state applicate in base al codice penale del 2003 e non secondo la legge del 1976. Di qui il ricorso alla Grande camera che ha dato ragione ai ricorrenti. Prima di tutto, la Corte ha chiarito che se per i crimini contro l’umanità non vi era altra scelta che applicare il codice del 2003 senza che avesse rilievo che nell’ordinamento interno quei reati non erano inclusi nel codice penale all’epoca delle condotte in ragione del fatto che esse erano crimini secondo l’ordinamento internazionale, per i crimini di guerra esistevano già precise regole nel codice penale. In discussione non era quindi la legalità del reato, ma l’applicazione di una pena più grave in ragione di una legge sopravveniente.
Ora, poiché l’art. 7 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte, stabilisce il divieto di attuare una legge più sfavorevole anche con riguardo alla pena, ai due imputati doveva essere applicata la legge precedente e non quella del 2003. Respinta poi la tesi del Governo secondo il quale il principio in esame non doveva essere applicato ai casi di crimini in ragione di quanto previsto dal par. 2 dell’art. 7 secondo il quale il principio di legalità non è di ostacolo “alla condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui fu commessa, era criminale secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili”. Questa previsione, nota come clausola di Norimberga e Tokyo, ha solo una funzione chiarificante al fine di escludere ogni dubbio sulla validità dei procedimenti dinanzi ai tribunali istituiti dopo la Seconda guerra mondiale. Evidente, quindi, che non sussisteva alcuna volontà di limitare l’applicazione del principio di non retroattività della legge più sfavorevole. Pertanto, poiché la nuova legge del 2003 aveva previsto pene più gravi essa non poteva essere applicata anche se la Corte tiene a precisare che ciò non implica che avrebbe dovuto essere imposta una pena meno grave.
Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/irricevibile-il-terzo-ricorso-di-previti-alla-cedu.html
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