Accesso a esami prenatali, obiezione di coscienza e aborto. Interviene la CEDU

Gli Stati sono tenuti a mettere a disposizione di una donna incinta la possibilità di svolgere test genetici in tempi rapidi per accertare eventuali malformazioni del feto in modo da consentirle di effettuare un’interruzione di gravidanza. In caso contrario, se la donna è costretta a lunghe attese per ostacoli burocratici e a causa dell’obiezione di coscienza di alcuni medici, con la conseguenza che non può poi abortire, lo Stato incorre in una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta i trattamenti disumani e degradanti e dell’articolo 8 che garantisce il rispetto della vita privata e familiare. E’ quanto è successo alla Polonia condannata dalla Corte europea con sentenza del 26 maggio 2011 (R.R. contro Polonia, n. 27617/04, http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=1&portal=hbkm&action=html&highlight=R.R.&sessionid=71686282&skin=hudoc-en). A Strasburgo si era rivolta una donna che aveva cercato di approfondire con alcuni esami e test lo stato del feto perché da un’ecografia era emerso il sospetto di una malformazione. Tuttavia, un medico obiettore aveva rifiutato di prescriverle l’amniocentesi e, poi, un altro medico di praticarle l’aborto. Il bimbo era nato con una grave malformazione e la donna, che aveva avviato un’azione giurisdizionale, aveva ottenuto dai tribunali interni un indennizzo ritenuto dalla Corte europea, che ha così accolto il ricorso, troppo esiguo. Per la Corte di Strasburgo, malgrado una legge prevedesse la possibilità di svolgere esami prenatali nel caso di rischio di anomalie del feto, i medici avevano respinto ogni richiesta della donna. Si erano aggiunti colpevoli ritardi che avevano fatto vivere alla ricorrente, che si trovava in una situazione vulnerabile, un grave stato di sofferenza e angoscia. Gli Stati – ha precisato la Corte europea – hanno sì un ampio margine di apprezzamento nel regolare il proprio sistema sanitario, ma nel momento in cui è prevista la possibilità di ricorrere all’aborto, le autorità nazionali sono tenute a organizzare i propri servizi sanitari “in modo da garantire la libertà di coscienza dei medici in un contesto professionale che non impedisca ai pazienti di accedere ai servizi ai quali hanno legalmente diritto”. La Polonia è stata anche condannata a indennizzare la donna con 45.0000 euro per i danni morali subiti.

No tags 0 Commenti 0

Nessun commento

Aggiungi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *