SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)
3 febbraio 2011 (*)
«Avvocati – Direttiva 89/48/CEE – Riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni – Direttiva 98/5/CE – Esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica – Utilizzo del titolo professionale dello Stato membro ospitante – Presupposti – Iscrizione all’albo di un ordine professionale degli avvocati dello Stato membro ospitante»
Nel procedimento C‑359/09,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Fővárosi Ítélőtábla (Ungheria) con decisione 23 giugno 2009, pervenuta in cancelleria il 7 settembre 2009, nella causa
Donat Cornelius Ebert
contro
Budapesti Ügyvédi Kamara,
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta dal sig. J.-C. Bonichot, presidente di sezione, dai sigg. K. Schiemann, L. Bay Larsen (relatore), dalle sig.re C. Toader e A. Prechal, giudici,
avvocato generale: sig. P. Cruz Villalón
cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 16 settembre 2010,
considerate le osservazioni presentate:
– per il sig. Ebert, Rechtsanwalt, da sé stesso;
– per il Budapesti Ügyvédi Kamara, dagli avv.ti P. Kiss e P. Köves, ügyvédek;
– per il governo ungherese, dalla sig.ra J. Fazekas, dal sig. M. Fehér e dalla sig.ra Zs. Tóth, in qualità di agenti;
– per il governo ceco, dal sig. M. Smolek, in qualità di agente;
– per il governo spagnolo, dal sig. J. López-Medel Bascones, in qualità di agente;
– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato;
– per il governo austriaco, dal sig. E. Riedl, in qualità di agente;
– per la Commissione europea, dai sigg. B. Simon e H. Støvlbæk, in qualità di agenti,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989, L 19, pag. 16), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 14 maggio 2001, 2001/19/CE (GU L 206, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 89/48»), e della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica (GU L 77, pag. 36).
2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia insorta tra il sig. Ebert, cittadino tedesco e avvocato registrato, con il titolo «Rechtsanwalt», presso il foro di Düsseldorf (Germania), e il Budapesti Ügyvédi Kamara (ordine degli avvocati del foro di Budapest) (Ungheria) in ordine al diritto rivendicato dal sig. Ebert di avvalersi del titolo di «ügyvéd» (avvocato in Ungheria) senza essere membro del citato ordine degli avvocati.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
La direttiva 89/48
3 Il settimo e il decimo ‘considerando’ della direttiva 89/48, applicabile ratione temporis alla causa principale, così recitano:
«(…) è opportuno definire in particolare la nozione di attività professionale regolamentata per tener conto delle diverse realtà sociologiche nazionali; che va considerata tale non solo un’attività professionale il cui accesso sia subordinato in uno Stato membro al possesso di un diploma, ma anche quella alla quale si possa accedere liberamente, qualora sia esercitata con un titolo professionale riservato a coloro che soddisfano a talune condizioni necessarie per la qualifica; (...)
(…) il sistema generale di riconoscimento dei diplomi d’istruzione superiore non è destinato né a modificare le norme professionali, comprese quelle deontologiche, applicabili a chiunque eserciti una professione in uno Stato membro né a sottrarre i migranti all’applicazione di tali norme; (...) si limita a prevedere misure appropriate volte ad assicurare che il migrante si conformi alle norme professionali dello Stato membro ospitante».
4 L’art. 1, lett. a), della direttiva 49/48 definisce, ai fini della medesima, la nozione di «diploma» nei seguenti termini:
«(...) qualsiasi diploma, certificato o altro titolo (...)
– che sia stato rilasciato da un’autorità competente in uno Stato membro, designata in conformità delle sue disposizioni legislative, regolamentari o amministrative,
– da cui risulti che il titolare ha seguito con successo un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale, in un’università o un istituto di istruzione superiore o in un altro istituto dello stesso livello di formazione e, se del caso, che ha seguito con successo la formazione professionale richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari e
– dal quale risulti che il titolare possiede le qualifiche professionali richieste per accedere ad una professione regolamentata in detto Stato membro o esercitarla,
(...)».
5 L’art. 2 della direttiva 89/48 così dispone:
«La presente direttiva si applica a qualunque cittadino di uno Stato membro che intenda esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante.
La presente direttiva non si applica alle professioni contemplate da una direttiva specifica che istituisca fra gli Stati membri il reciproco riconoscimento dei diplomi».
6 L’art. 3, primo comma, della direttiva 89/48 prevede quanto segue:
«Quando nello Stato membro ospitante l’accesso o l’esercizio di una professione regolamentata è subordinato al possesso di un diploma, l’autorità competente non può rifiutare ad un cittadino di un altro Stato membro, per mancanza di qualifiche, l’accesso a/o l’esercizio di tale professione, alle stesse condizioni che vengono applicate ai propri cittadini:
a) se il richiedente possiede il diploma che è prescritto in un altro Stato membro per l’accesso o l’esercizio di questa stessa professione sul suo territorio, e che è stato ottenuto in un altro Stato membro (…)
(…)».
7 L’art. 4, n. 1, della direttiva 89/48 così recita:
«L’articolo 3 non osta a che lo Stato membro ospitante esiga inoltre che il richiedente:
(…)
b) compia un tirocinio di adattamento, per un periodo massimo di tre anni, o si sottoponga a una prova attitudinale:
– quando la formazione ricevuta conformemente all’articolo 3, lettere a) e b) verte su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate nel diploma prescritto nello Stato membro ospitante, oppure
– quando, nel caso di cui all’articolo 3, lettera a), la professione regolamentata nello Stato membro ospitante comprende una o più attività professionali regolamentate che non esistono nella professione regolamentata nello Stato membro di origine o provenienza del richiedente, e tale differenza è caratterizzata da una formazione specifica prescritta nello Stato membro ospitante e vertente su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate dal diploma dichiarato dal richiedente (...)
(…)
Se lo Stato membro ospitante ricorre a tale possibilità, esso deve lasciare al richiedente la scelta tra il tirocinio di adattamento e la prova attitudinale. In deroga a tale principio, lo Stato ospitante può prescrivere un tirocinio di adattamento o una prova attitudinale se si tratta di professioni il cui esercizio richiede una conoscenza precisa del diritto nazionale e nelle quali la consulenza e/o l’assistenza per quanto riguarda il diritto nazionale costituisce un elemento essenziale e costante dell’attività (…)».
8 Ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 89/48:
«L’autorità competente dello Stato membro ospitante che subordina l’accesso ad una professione regolamentata alla presentazione di prove relative all’onorabilità, alla moralità o all’assenza di dichiarazione di fallimento, o che sospende o vieta l’esercizio di una siffatta professione in caso di gravi mancanze professionali o di condanne per delitti penali, accetta quale prova sufficiente per i cittadini degli Stati membri che intendono esercitare detta professione sul suo territorio la presentazione di documenti rilasciati dalle autorità competenti dello Stato membro di origine o di provenienza dai quali risulti che tali requisiti sono soddisfatti.
(…)».
9 L’art. 7, n. 1, della direttiva 89/48 enuncia quanto segue:
«L’autorità competente dello Stato membro ospitante riconosce ai cittadini degli altri Stati membri, che soddisfino alle condizioni di accesso e di esercizio di una professione regolamentata sul suo territorio, il diritto di fregiarsi del titolo professionale dello Stato membro ospitante che corrisponde a questa professione».
La direttiva 98/5
10 Il secondo, terzo e settimo ‘considerando’ della direttiva 98/5 sono così redatti:
«(2) (...) un avvocato in possesso di tutte le qualifiche prescritte in uno Stato membro può fin da ora chiedere il riconoscimento del proprio diploma per stabilirsi in un altro Stato membro, allo scopo di esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale di questo Stato membro a norma della direttiva 89/48 (...); (...) tale direttiva ha lo scopo di garantire l’integrazione dell’avvocato nella professione dello Stato membro ospitante e non mira né a modificare le regole professionali in esso vigenti, né a sottrarre l’avvocato all’applicazione delle stesse;
(3) (...) alcuni avvocati possono integrarsi rapidamente nella professione dello Stato membro ospitante, in particolare superando la prova attitudinale prevista dalla direttiva 89/48 (...), mentre altri avvocati in possesso di tutte le qualifiche prescritte devono poter ottenere tale integrazione dopo un certo periodo di esercizio della professione nello Stato membro ospitante con il proprio titolo professionale d’origine oppure continuare la loro attività con il titolo professionale d’origine;
(...)
(7) (...) la presente direttiva, in armonia con le sue finalità, si astiene dal disciplinare situazioni giuridiche puramente interne e lascia impregiudicate le norme nazionali dell’ordinamento professionale, salvo laddove ciò risulti indispensabile per consentire di conseguire pienamente i suoi scopi; (...) essa non lede in alcun modo la disciplina nazionale relativa all’accesso alla professione di avvocato e al suo esercizio con il titolo professionale dello Stato membro ospitante».
11 L’art. 2 della direttiva 98/5, dal titolo «Diritto di esercitare la professione con il proprio titolo professionale di origine», così dispone:
«Gli avvocati hanno il diritto di esercitare stabilmente le attività di avvocato precisate all’articolo 5 in tutti gli altri Stati membri con il proprio titolo professionale di origine.
L’integrazione nella professione di avvocato dello Stato membro ospitante è soggetta alle disposizioni dell’articolo 10».
12 L’art. 6, n. 1, della direttiva 98/5 è così formulato:
«Indipendentemente dalle regole professionali e deontologiche cui è soggetto nel proprio Stato membro di origine, l’avvocato che esercita con il proprio titolo professionale d’origine è soggetto alle stesse regole professionali e deontologiche cui sono soggetti gli avvocati che esercitano col corrispondente titolo professionale dello Stato membro ospitante per tutte le attività che esercita sul territorio di detto Stato».
13 L’art. 10 della direttiva 98/5, dal titolo «Assimilazione all’avvocato dello Stato membro ospitante», così recita:
«1. L’avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine e che abbia comprovato l’esercizio per almeno tre anni di un’attività effettiva e regolare nello Stato membro ospitante, e riguardante il diritto di tale Stato, ivi compreso il diritto comunitario, è dispensato dalle condizioni di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 89/48 (...) per accedere alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante. (...)
(...)
2. Un avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine in uno Stato membro ospitante può in qualsiasi momento chiedere il riconoscimento del proprio diploma a norma della direttiva 89/48 (...), allo scopo di accedere alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante e di esercitarla con il titolo professionale corrispondente a tale professione in detto Stato membro.
3. Un avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine, che dimostri un’attività effettiva e regolare per un periodo di almeno tre anni nello Stato membro ospitante, ma di durata inferiore relativamente al diritto di tale Stato membro, può ottenere dall’autorità competente di detto Stato membro l’accesso alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante e il diritto di esercitarla con il titolo professionale corrispondente a tale professione in detto Stato membro, senza dover rispettare le condizioni di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 89/48 (...), alle condizioni e secondo le modalità qui di seguito indicate: (...)
(...)
6. L’avvocato che accede alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante secondo le modalità previste dai paragrafi 1, 2, e 3 ha diritto di far uso, a fianco del titolo professionale corrispondente alla professione di avvocato nello Stato membro ospitante, del titolo professionale d’origine indicato nella lingua o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro d’origine».
Diritto nazionale
14 L’accesso alla professione di avvocato in Ungheria è disciplinato dai seguenti testi:
– la legge n. C del 2001, relativa al riconoscimento dei titoli e dei diplomi stranieri (A külföldi bizonyítványok és oklevelek elismeréséről szóló 2001. évi C. törvény; in prosieguo: la «legge relativa al riconoscimento dei titoli e dei diplomi»);
– la legge n. XI del 1998, relativa agli avvocati (Az ügyvédekről szóló 1998. évi XI. törvény; in prosieguo: la «legge relativa agli avvocati»).
La legge relativa al riconoscimento dei titoli e dei diplomi
15 Per il periodo compreso tra il 1° maggio 2004 e il 20 ottobre 2007, le disposizioni rilevanti della legge relativa al riconoscimento dei titoli e dei diplomi erano così formulate:
«Art. 21
1) Le disposizioni del presente capo si applicano ad ogni cittadino di uno Stato membro che intenda esercitare in Ungheria una professione regolamentata e che abbia il diritto di esercitare la medesima professione nello Stato di emissione o nel paese d’origine.
(...)
Art. 35
1) L’autorità cui è stata presentata la richiesta può prescrivere un tirocinio di adattamento di durata non superiore a tre anni o una prova attitudinale,
a) se la parte pratica o teorica della formazione del richiedente è sostanzialmente diversa dalla formazione necessaria ai fini dell’ottenimento del diploma richiesto in Ungheria per l’esercizio della professione regolamentata,
(...)
2) L’autorità adita lascia al richiedente la scelta tra il tirocinio di adattamento e la prova attitudinale.
3) L’autorità adita può derogare al n. 2 nel caso di una professione il cui esercizio richieda una conoscenza precisa del diritto ungherese e nella quale la consulenza per quanto riguarda il diritto ungherese costituisca un elemento essenziale e costante dell’attività. In tal caso, l’autorità adita obbliga il richiedente a compiere un tirocinio di adattamento o a sottoporsi a una prova attitudinale.
(...)».
16 Secondo un elenco delle professioni regolamentate in vigore dal 1° maggio 2004 all’8 maggio 2009, pubblicato dal Ministero dell’Educazione ungherese, il titolo di formazione necessario ai fini dell’esercizio della professione di avvocato rientra nella nozione di «diploma» ai sensi della legge relativa al riconoscimento dei titoli e dei diplomi.
La legge relativa agli avvocati
17 Alla data di proposizione del ricorso che ha dato origine al procedimento principale, vale a dire il 13 dicembre 2006, le disposizioni pertinenti della legge relativa agli avvocati erano così formulate:
«Art. 6
1) Un avvocato
a) non può essere vincolato da un contratto di lavoro, da un contratto di servizio d’interesse pubblico o da qualsiasi altro contratto che implichi l’obbligo di esercitare un lavoro e non può essere dipendente pubblico, funzionario né notaio, né può esercitare la funzione di sindaco a tempo pieno,
b) non può esercitare un’attività imprenditoriale a titolo personale o implicante una responsabilità pecuniaria illimitata.
(...)
3) L’avvocato è tenuto a dichiarare all’ordine degli avvocati qualsiasi causa d’incompatibilità entro quindici giorni dall’insorgere della stessa.
(...)
Art. 13
1) Può esercitare la professione di avvocato – fatta eccezione per quella di avvocato dipendente – chiunque sia membro di un ordine degli avvocati e abbia prestato il giuramento relativo all’esercizio di tale professione.
(...)
3) L’iscrizione all’albo dell’ordine degli avvocati avviene su domanda dell’interessato, il quale deve soddisfare i seguenti requisiti:
a) essere cittadino di uno degli Stati [che sono parti dell’accordo sullo] Spazio economico europeo [del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3)],
(...)
c) non avere precedenti penali,
d) essere in possesso della laurea in giurisprudenza,
e) aver superato l’esame giuridico professionale ungherese,
f) essere affiliato alla Magyar Ügyvédek Biztosító és Segélyező Egyesülete [società assicurativa e di assistenza per gli avvocati ungheresi] o disporre di altra polizza di responsabilità riconosciuta dall’ordine degli avvocati,
g) disporre, nell’ambito territoriale dell’ordine degli avvocati, di un’adeguata sede per l’esercizio abituale della professione forense,
h) non rientrare in alcuno dei motivi di esclusione indicati al n. 4.
4) Non può essere ammesso all’ordine degli avvocati chiunque:
a) si trovi in uno dei casi d’incompatibilità di cui all’art. 6 e non ponga fine a tale situazione,
b) sia sottoposto ad una pena accessoria che lo escluda dai pubblici uffici o che gli vieti ogni attività connessa ad una qualificazione giuridica,
c) sia stato condannato ad una pena privativa della libertà da eseguire a motivo della commissione di un reato doloso (...)
d) sia stato escluso dall’ordine degli avvocati (...)
e) sia stato sottoposto a tutela che limita o esclude la capacità, ovvero sia incapace pur non essendo sottoposto a tutela (...)
f) sia indegno, in ragione del suo stile di vita o della sua condotta, del pubblico affidamento necessario all’esercizio della professione forense,
(...)
Art. 89/A
1) Le disposizioni della presente legge si applicano, fatte salve le deroghe previste nel presente capo, alle attività svolte nel territorio della Repubblica d’Ungheria da parte dei cittadini di uno Stato membro dello Spazio economico europeo che siano abilitati ad esercitare la professione forense, con una delle qualifiche professionali previste in altre disposizioni legislative o regolamentari, in un qualsiasi Stato membro dello Spazio economico europeo (in prosieguo: i “giuristi europei”).
(...)
Art. 89/B
1) Colui che intenda esercitare la professione forense in modo permanente sul territorio della Repubblica d’Ungheria in qualità di giurista europeo deve chiedere l’iscrizione all’albo dei giuristi europei tenuto dall’ordine degli avvocati (in prosieguo, ai fini del presente capo, l’“albo”), iscrizione facoltativa per colui che intenda saltuariamente accedere a detta attività in qualità di prestatore di servizi.
2) Si deve procedere all’iscrizione all’albo del richiedente che:
a) dia prova, presentando la traduzione giurata in ungherese del certificato predisposto in data non anteriore a tre mesi dall’organo incaricato della tenuta dell’albo degli avvocati nel suo stesso Stato membro, di aver diritto ad esercitare la professione forense in tale Stato membro,
(...)
Art. 89/F
1) Il giurista europeo iscritto all’albo è ammesso, su sua richiesta, a far parte dell’ordine degli avvocati in qualità di “ügyvéd” qualora:
a) soddisfi i requisiti di cui all’art. 13, n. 3, lett. c), f), g) e h);
b) dimostri compiutamente, presentando la documentazione da cui risultino il numero e la natura delle cause trattate nonché, se specificamente richiesto dall’ordine degli avvocati, in sede di convocazione individuale, di aver esercitato un’attività forense riguardante il diritto ungherese (anche nel settore dell’applicazione in Ungheria del diritto dell’Unione europea) nel territorio della Repubblica d’Ungheria durante un periodo ininterrotto di tre anni, nonché
c) dimostri nel corso della [sua] convocazione individuale di disporre della necessaria conoscenza dell’ungherese ai fini della professione forense.
2) Su richiesta dell’interessato, l’ordine degli avvocati può altresì consentire l’ammissione in qualità di avvocato del giurista europeo iscritto all’albo che abbia esercitato un’attività forense in Ungheria durante un periodo ininterrotto di tre anni, sebbene la sua attività riguardante il diritto ungherese (anche nel settore dell’applicazione in Ungheria del diritto dell’Unione europea) sia di durata inferiore a tre anni, purché egli soddisfi gli altri requisiti [previsti al] n. 1.
(...)
4) Dopo l’ammissione all’ordine degli avvocati, il giurista europeo ne diviene membro di pieno diritto. Oltre che del titolo di “ügyvéd” egli può continuare, nell’utilizzo dei suoi titoli professionali, ad avvalersi del titolo conferitogli nel suo Stato membro.
(...)
Art. 89/I
(...)
2) Nell’ambito dell’utilizzo dei propri titoli professionali, il giurista europeo può esclusivamente avvalersi del titolo riconosciuto dal suo Stato membro e deve indicare la denominazione dell’organo professionale cui appartiene nella lingua ufficiale del suo Stato membro. Si deve altresì prevedere una spiegazione complementare in ungherese del titolo professionale, ove questo possa essere confuso con quella di “ügyvéd”».
Causa principale e questioni pregiudiziali
18 Il sig. Ebert, cittadino tedesco, ha compiuto i suoi studi di giurisprudenza in Germania e dal 1997 è abilitato ad esercitare l’attività forense con il titolo di «Rechtsanwalt», quale membro dell’ordine degli avvocati di Düsseldorf. Dalla fine degli anni ’90 il sig. Ebert vive in Ungheria, dove ha acquisito, a seguito di studi effettuati presso l’Università di Miskolc, il titolo di dottore in giurisprudenza nel 2002.
19 Nel 2004 il sig. Ebert ha stipulato un accordo di collaborazione con uno studio di avvocati in Ungheria ed è stato ammesso all’albo dei giuristi europei, ai sensi dell’art. 89/A della legge relativa agli avvocati, con decisione del 20 settembre 2004 del Budapesti Ügyvédi Kamara, potendo quindi esercitare l’attività di avvocato in tale Stato membro con il suo titolo professionale d’origine.
20 Secondo le indicazioni contenute nella decisione di rinvio, il sig. Ebert nel 2005 ha fondato il proprio studio in Ungheria e, con decisione del 6 aprile 2005, il Budapesti Ügyvédi Kamara ha registrato tale studio.
21 Sempre secondo la decisione di rinvio, il sig. Ebert ha chiesto al Fővárosi Bíróság (Tribunale municipale di Budapest), il 13 dicembre 2006, che gli sia riconosciuto il diritto di utilizzare il titolo ungherese di «ügyvéd» in Ungheria senza essere membro dell’ordine degli avvocati.
22 Il Fővárosi Bíróság ha respinto tale domanda in quanto, ai sensi degli artt. 1 e 7, nn. 1 e 3, della direttiva 89/48, il sig. Ebert potrebbe avvalersi del titolo di «ügyvéd» solo qualora dimostrasse la sua qualità di membro dell’ordine degli avvocati. Il sig. Ebert ha interposto appello avverso tale decisione dinanzi al Fővárosi Ítélőtábla (Corte d’appello regionale di Budapest).
23 In tale contesto, il Fővárosi Ítélőtábla ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se le direttive 89/48 (...) e 98/5 (...) possano essere interpretate nel senso che il ricorrente, di cittadinanza tedesca, che ha superato l’esame di accesso alla professione forense in Germania, è membro di un ordine degli avvocati locale e dispone in Ungheria di un permesso di soggiorno e di lavoro, ha il diritto di avvalersi nei procedimenti giudiziari e amministrativi, senza aver ottenuto alcuna autorizzazione, della qualifica ufficiale di “ügyvéd” istituita in Ungheria, Stato ospitante, oltre alla qualifica tedesca di “Rechtsanwalt” e alla qualifica ungherese di “európai közösségi jogász” [giurista europeo], senza tuttavia avere la qualità di membro di un ordine degli avvocati ungherese.
2) Se la direttiva 98/5 (...) integri la direttiva 89/48 (...) nel senso che, essendo, relativa all’esercizio della professione di avvocato, costituisce una lex specialis in detto ambito, laddove la direttiva 89/48 (...) si limita, in linea generale, a regolamentare il riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore».
24 Nelle sue osservazioni scritte, come in sede di udienza, il sig. Ebert ha sostenuto di avere in realtà chiesto semplicemente al Ministero dell’Educazione e della Cultura ungherese di essere sottoposto ad una prova attitudinale per ottenere l’autorizzazione ad esercitare la professione di avvocato con il titolo professionale del suo Stato membro ospitante, in conformità alla direttiva 89/48, e che tale Ministero non ha risposto a tale domanda, ma l’ha trasmessa al Budapesti Ügyvédi Kamara, il quale a sua volta non vi avrebbe dato risposta.
25 All’udienza quest’ultimo ha confermato di aver ricevuto dal Ministero dell’Educazione e della Cultura la domanda di cui trattasi, ma ha sostenuto di non avere, secondo la legislazione nazionale, alcuna competenza in merito al riconoscimento dei diplomi di insegnamento superiore conformemente alla direttiva 89/48, competenza spettante al Ministero medesimo, che non avrebbe ancora assunto alcuna decisione quanto alla domanda del sig. Ebert. Il Budapesti Ügyvédi Kamara ha precisato che non ha potuto, per questa ragione, dare una risposta a tale domanda, ma ha iscritto il sig. Ebert nell’albo dei giuristi europei.
26 Dinanzi alla Corte il governo ungherese ha confermato che, ai sensi della legge relativa al riconoscimento dei titoli e dei diplomi, mediante la quale è stata trasposta nel diritto ungherese la direttiva 89/48, il riconoscimento dei diplomi del sig. Ebert è di competenza del Ministero dell’Educazione e della Cultura.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla seconda questione
27 Con la sua seconda questione, che va esaminata in primis, tale giudice chiede in sostanza se la direttiva 98/5 escluda l’applicazione della direttiva 89/48, nel senso che le modalità previste dall’art. 10, nn. 1 e 3, della direttiva 98/5 rappresenterebbero l’unico mezzo per avere accesso al titolo di avvocato di uno Stato membro ospitante per gli avvocati di altri Stati membri, ovvero se le due direttive si completino instaurando, per gli avvocati degli Stati membri, due modalità d’accesso alla professione d’avvocato in uno Stato membro ospitante con il titolo professionale di quest’ultimo.
28 Il sig. Ebert, i governi ungherese, ceco, spagnolo e austriaco nonché la Commissione europea ritengono che le direttive 98/5 e 89/48 instaurino due modalità d’accesso alla professione di avvocato nello Stato membro ospitante. All’udienza il Budapesti Ügyvédi Kamara ha precisato di condividere tale opinione.
29 In proposito, l’art. 2, secondo comma, della direttiva 89/48 stabilisce che la stessa non si applica alle professioni contemplate da una direttiva specifica che istituisca fra gli Stati membri il reciproco riconoscimento dei diplomi.
30 Emerge tuttavia dall’art. 10, n. 1, della direttiva 98/5 che l’avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine e che abbia comprovato lo svolgimento di almeno tre anni di un’attività effettiva e regolare nello Stato membro ospitante, riguardante il diritto di tale Stato, ivi compreso il diritto dell’Unione, è dispensato dalle condizioni di cui all’art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48 per accedere alla professione di avvocato dello Stato membro medesimo.
31 Peraltro, alle condizioni indicate all’art. 10, n. 3, della direttiva 98/5, l’avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine e che dimostri un’attività effettiva e regolare per un periodo di almeno tre anni nello Stato membro ospitante, ma di durata inferiore per quanto riguarda il diritto di tale Stato membro, può anch’egli ottenere il diritto di esercitare la professione di avvocato con il titolo professionale corrispondente a tale professione in detto Stato membro, senza dover rispettare le condizioni di cui all’art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48.
32 Se tuttavia, nell’ambito di tali modalità di accesso all’esercizio della professione di avvocato con il titolo dello Stato membro ospitante, un avvocato qualificato di un altro Stato membro è dispensato dal rispettare le condizioni di cui all’art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48, si deve necessariamente rilevare che la direttiva 98/5 non priva detto avvocato, segnatamente quando non dimostri ancora un’attività effettiva e regolare per un periodo di almeno tre anni nello Stato membro ospitante, della possibilità di pretendere l’accesso alla professione di avvocato con il titolo di tale Stato membro invocando la direttiva 89/48. Infatti, come risulta dal secondo e dal terzo ‘considerando’ della direttiva 98/5, emerge espressamente dall’art. 10, n. 2, della stessa che l’avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine in uno Stato membro ospitante può in qualsiasi momento chiedere il riconoscimento del proprio diploma a norma della direttiva 89/48, allo scopo di accedere alla professione di avvocato in detto Stato membro e di esercitarla con il titolo professionale corrispondente a tale professione nello Stato membro medesimo.
33 In una situazione siffatta, una persona titolare di un «diploma» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48, quale il sig. Ebert, beneficia, conformemente all’art. 3, primo comma, lett. a), di tale direttiva, di un accesso alla professione regolamentata di avvocato nello Stato membro ospitante. Tuttavia, trattandosi di una professione il cui esercizio richiede una conoscenza precisa del diritto nazionale e nella quale la consulenza e/o l’assistenza per quanto riguarda il diritto nazionale costituisce un elemento essenziale e costante, l’art. 3 della direttiva 89/48 non osta, in applicazione dell’art. 4, n. 1, lett. b), di quest’ultima, a che lo Stato membro ospitante esiga che il richiedente si sottoponga ad una prova attitudinale, purché tale Stato membro verifichi preliminarmente se le conoscenze acquisite dal richiedente nel corso della propria esperienza professionale siano tali da colmare, in tutto o in parte, la differenza sostanziale di cui al primo comma di tale disposizione (v. sentenza 22 dicembre 2010, causa C‑118/09, Koller, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 38 e 39).
34 Ne consegue che un avvocato di uno Stato membro può accedere alla professione di avvocato in uno Stato membro ospitante in cui tale professione è regolamentata ed esercitarla con il titolo professionale conferito dallo stesso, in forza della direttiva 89/48 ovvero dell’art. 10, nn. 1 e 3, della direttiva 98/5.
35 Si deve quindi risolvere la seconda questione proposta nel senso che le direttive 89/48 e 98/5 si completano instaurando, per gli avvocati degli Stati membri, due modalità d’accesso alla professione d’avvocato in uno Stato membro ospitante con il titolo professionale di quest’ultimo.
Sulla prima questione
36 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se le direttive 89/48 e 98/5 ostino ad una normativa nazionale che istituisca, per l’esercizio dell’attività forense con il titolo di avvocato dello Stato membro ospitante, l’obbligo di essere membro di un organismo quale un ordine degli avvocati.
37 Dall’art. 3 della direttiva 89/48 emerge che, se una persona possiede un diploma prescritto in uno Stato membro per l’accesso ad una professione, essa ha il diritto di accedere a questa stessa professione in uno Stato membro ospitante alle stesse condizioni che vengono applicate ai cittadini del medesimo, esclusa quella riguardante il possesso di un diploma dello Stato membro ospitante.
38 Risulta peraltro dall’art. 6 della direttiva 89/48, letto alla luce del decimo ‘considerando’ della medesima, che una persona che acceda ad una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante in base al riconoscimento di un diploma ai sensi dell’art. 1, lett. a), di tale direttiva deve conformarsi alle norme professionali del citato Stato membro, vertenti segnatamente sul rispetto della deontologia.
39 Emerge inoltre dall’art. 6, n. 1, della direttiva 98/5 che anche l’avvocato che esercita con il proprio titolo professionale d’origine in uno Stato membro ospitante è soggetto alle stesse regole professionali e deontologiche cui sono soggetti gli avvocati che esercitano col corrispondente titolo professionale di tale Stato membro (v., in tal senso, sentenza 2 dicembre 2010, causa C‑225/09, Jakubowska, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 57).
40 Si deve pertanto rilevare che né la direttiva 89/48 né la direttiva 98/5 ostano all’applicazione, nei riguardi di chiunque eserciti la professione di avvocato sul territorio di uno Stato membro, segnatamente per quanto riguarda l’accesso alla medesima, delle disposizioni nazionali, siano esse legislative, regolamentari o amministrative, giustificate dal pubblico interesse, come le norme in tema di organizzazione, di deontologia, di controllo e di responsabilità (v. in tal senso, per quanto riguarda la direttiva 89/48, sentenza 30 novembre 1995, causa C‑55/94, Gebhard, Racc. pag. I‑4165, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).
41 Spetta al giudice del rinvio verificare se il Budapesti Ügyvédi Kamara abbia applicato tali norme in conformità alle disposizioni del diritto dell’Unione, e segnatamente in conformità al principio di non discriminazione (v., in tal senso, sentenze 31 marzo 1993, causa C‑19/92, Kraus, Racc. pag. I‑1663, punto 32; Gebhard, cit., punto 37, e 11 giugno 2009, causa C‑564/07, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑100, punto 31).
42 Si deve pertanto risolvere la prima questione proposta affermando che né la direttiva 89/48 né la direttiva 98/5 ostano ad una normativa nazionale che, ai fini dell’esercizio dell’attività forense con il titolo di avvocato dello Stato membro ospitante, istituisca l’obbligo di essere membro di un organismo quale un ordine degli avvocati.
Sulle spese
43 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
1) Né la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 14 maggio 2001, 2001/19/CE, né la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, ostano ad una normativa nazionale che, ai fini dell’esercizio dell’attività forense con il titolo di avvocato dello Stato membro ospitante, istituisca l’obbligo di essere membro di un organismo quale un ordine degli avvocati.
2) Le direttive 89/48 e 98/5 si completano instaurando, per gli avvocati degli Stati membri, due modalità d’accesso alla professione d’avvocato in uno Stato membro ospitante con il titolo professionale di quest’ultimo.
Firme
* Lingua processuale: l’ungherese.