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DIRITTO INTERNAZIONALE
Gheddafi va arrestato. Lo chiede il Procuratore della Corte penale internazionale. Intanto nuove indagini anche sui crimini in Costa d'Avorio. |
La giustizia penale internazionale raccoglie il consenso della comunità internazionale dopo
l'arresto di Mladic, avvenuto il 26 maggio 2011, a due passi da Belgrado. Anche la Corte penale
internazionale, malgrado le aspre critiche provenienti dalla stampa inglese, prova a stare al passo
con il Tribunale per l'ex Iugoslavia. Il Procuratore della Corte penale internazionale, Louis Moreno
Ocampo, ha chiesto alla pre-trial chamber, il 16 maggio 2011, di emettere un mandato di cattura
nei confronti del leader libico Mohammed Gheddafi, di suo figlio Saif e del capo dell'intelligence Al Sanousi per i crimini contro l'umanità commessi in Libia dal febbraio 2011 (http://www.icc-
cpi.int/iccdocs/doc/doc1073503.pdf).
Le prove raccolte – osserva Moreno Ocampo – dimostrano
che il dittatore libico ha ordinato il massacro di civili durante la rivolta a Tripoli e Mensurata e che
atti di persecuzione sono ancora in corso nelle aree sotto il controllo di Gheddafi.
Il deferimento della situazione libica alla Corte penale internazionale è avvenuto su iniziativa del
Consiglio di sicurezza che, con risoluzione 1970 adottata all'unanimità il 26 febbraio 2011, non
solo ha disposto l'embargo di armi, ma ha anche dato il via a misure nei confronti di Gheddafi e di
alcuni uomini del suo regime, inclusi i suoi familiari.
Il Consiglio ha agito in base all'articolo 16 dello Statuto della Corte, chiedendo all'organo giurisdizionale penale internazionale di avviare indagini sulla situazione libica e di individuare i
responsabili dei crimini nei confronti di cittadini libici commessi a partire dal 15 febbraio.
In precedenza, il Consiglio aveva deferito alla Corte la questione dei crimini contro l'umanità
commessi in Darfur (risoluzione 1593 del 2005). In quell'occasione, la Corte, investita della
questione, aveva emesso un mandato di cattura (caduto nel vuoto) nei confronti del Presidente
sudanese al-Bashir che è rimasto al suo posto e non ha rinunciato a numerosi spostamenti, senza
alcuna cooperazione delle autorità giudiziarie degli Stati nell'esecuzione dell'arresto.
Proprio di recente, al-Bashhir, sfidando l'ordine della Corte, si è recato a Djibouti, che tra l'altro
ha ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale ed è quindi obbligato a cooperare con la
Corte, senza essere fermato dalle autorità nazionali.
E' quindi probabile che anche l'eventuale emissione del mandato di arresto da parte della pre-trial
chamber non impensierirà più di tanto Gheddafi sia perché altri leader sui quali pende il mandato di
cattura viaggiano senza problemi e restano saldamente al proprio posto, sia per la cronica lentezza
nello svolgimento dei procedimenti dinanzi alla Corte penale internazionale.
A nove anni dall'entrata in vigore dello Statuto, non è stato emesso alcun verdetto di condanna o di
assoluzione. E non c'è dubbio che una giustizia così lenta, lontana anni luce dal verificarsi dei fatti,
è senza dubbio, almeno sotto il profilo degli effetti deterrenti, inefficace, oltre a provocare dubbi
sull'effettivo rispetto delle regole dell'equo processo.
Le indagini, però, vanno avanti. Il 19 maggio il Procuratore ha aperto un nuovo fronte e ha chiesto
alla pre-trial chamber l'autorizzazione ad aprire indagini sulla situazione in Costa d'Avorio per i
fatti avvenuti a partire dal 28 novembre 2010. La Costa d'Avorio non ha ratificato lo Statuto, ma ha
accettato la giurisdizione della Corte, in base all'articolo 12, par. 3 dello Statuto, con dichiarazioni
rese il 18 aprile 2002, il 1° dicembre 2010 e il 3 maggio 2011 (http://www.icc-cpi.int/NR/rdonlyres/498E8FEB-7A72-4005-A209-C14BA374804F/0/ReconCPI.pdf). |
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UNIONE EUROPEA
I professionisti alla prova del diritto Ue. |
La scelta di alcuni Paesi Ue di mantenere in piedi la clausola della nazionalità come condizione di
accesso alla professione notarile, anacronistica e chiaramente contraria al diritto Ue, è costata cara
ai notariati di tutta Europa. Una scelta miope, quella seguita con ostinazione da Paesi come Belgio,
Austria, Francia, Lussemburgo, Grecia e Portogallo che ha portato la Corte a condannare i sei Paesi
in causa per violazione del diritto Ue. Ma la Corte ha fatto di più. Con le sei sentenze depositate il
24 maggio 2011 (cause C-47/08, C-50/08, C-51/08, C-52/08, C-53/08, C-54/08, C-61/08), la Corte
di giustizia ha anche escluso che i notai partecipino all'esercizio dei pubblici poteri secondo quanto
previsto dal Trattato Ue con l'impossibilità, quindi, per questi professionisti di invocare una deroga
generalizzata all'applicazione delle norme Ue nei loro confronti in base all'articolo 51 del Trattato
di Lisbona.
E' stata la Commissione europea ad accendere i riflettori della Corte di giustizia sui notai: per
Bruxelles, le norme previste dall'ordinamento francese, belga, austriaco, lussemburghese, tedesco,
greco e portoghese che riservano l'accesso alla professione unicamente ai propri cittadini (in Italia
questa condizione è stata eliminata sin dal 2003) sono contrarie al Trattato Ue e, in particolare al
divieto di ogni discriminazione in base alla nazionalità. Gli Stati in causa sono andati dritti per
la propria strada e sono incappati in una sonora condanna da parte dei giudici di Lussemburgo
che hanno condiviso la posizione della Commissione. Per la Corte, che ha scandagliato le diverse
attività poste in essere dai notai, questi professionisti non partecipano all'esercizio dei pubblici
poteri secondo quanto previsto dal Trattato Ue. |
Detto questo, però, la Corte di giustizia ha lasciato in piedi le regole di organizzazione della
professione decise dai consigli notarili. I giudici Ue, infatti, hanno affermato che le attività notarili
perseguono obiettivi di interesse generale per garantire legalità e certezza degli atti conclusi da
privati. Di conseguenza, per garantire la piena attuazione di ragioni imperative di interesse generale
possono essere ammesse restrizioni all'articolo 43 del Trattato Ce (oggi articolo 49), con particolare
riguardo all'organizzazione delle procedure di selezione, alla predisposizione del numero e
delle competenze territoriali, nonché dei regimi applicati ai notai relativi alla remunerazione,
indipendenza, incompatibilità e inamovibilità, fermo restando però che eventuali «restrizioni
permettano di conseguire tali obiettivi e siano a ciò necessarie» (par. 87, causa C-50/08, Francia).
Degli avvocati, sempre con riguardo al diritto Ue, si è occupato invece il Consiglio nazionale
forense che ha adottato, il 5 maggio 2011, il parere n. 9-C-2011 sull'iscrizione all'Ordine degli
avvocati italiani in Spagna che chiedono l'omologazione del titolo in Italia. La richiesta di parere
è arrivata dal Dipartimento delle politiche comunitarie alla luce dei numerosi reclami registrati
dal centro SOLVIT da parte di alcuni avvocati che avevano chiesto l'omologazione del titolo in
Italia, ma avevano incontrato ostacoli da diversi Ordini. Il Consiglio nazionale forense è giunto
alla conclusione che l'ordine ha il diritto di negare l'iscrizione se, nell'obbligatorio rispetto della
giurisprudenza comunitaria, si verifica un abuso del diritto dell'Unione europea. |
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CONSIGLIO D'EUROPAStop alla violenza contro le donne |
Il Consiglio d'Europa rafforza gli strumenti per combattere la violenza contro le
donne, considerata come violazione di un diritto umano fondamentale. E lo fa
con una Convenzione adottata l'11 maggio 2011 a Istanbul sulla prevenzione e il
contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica (il testo è reperibile nel
sito conventions.coe.int).
Si tratta del primo atto internazionale che
mette in campo non solo strumenti preventivi, ma anche sanzionatori, indirizzati alla
violenza in quanto tale, a prescindere da eventuali forme di discriminazione che sono
considerate automatiche e implicite nella violenza di genere.
Centrale l'attività di monitoraggio che ciascuno Stato dovrà predisporre nel proprio
ordinamento. La Convenzione entrerà in vigore 3 mesi dopo la ratifica del decimo
Stato, a condizione che almeno otto ratifiche provengano da membri del Consiglio
d'Europa (al 5 giugno nessuno Stato aveva ratificato la Convenzione, che è stata
invece firmata da 13 Paesi inclusa Turchia, Germania, Francia, Spagna, ma non Italia).
L'obiettivo è fronteggiare una piaga in crescita in tutto il mondo, inclusa l'Europa,
grazie all'imposizione di obblighi positivi e negativi in capo agli Stati (anche non
membri del Consiglio d'Europa) che ratificano la Convenzione, che copre sia la fase
della prevenzione che quella della repressione.
Per quanto riguarda il primo profilo, la Convenzione dispone che gli Stati sono
tenuti ad adottare misure legislative e di altro genere per prevenire ogni forma di
violenza e impedire che eventuali tradizioni culturali siano considerate come forma di
giustificazione ad atti di violenza. Un ruolo centrale è attribuito ai processi educativi
che, al pari dei media, devono rimuovere ogni forma di stereotipo.
Necessaria l'attivazione di una linea telefonica di assistenza che assicuri l'anonimato alle |
vittime e strumenti di supporto alle donne che subiscono violenza sessuale.
Che hanno diritto a una giustizia effettiva. In questa direzione, la Convenzione impone agli Stati di favorire l'accesso alla giustizia sia civile che penale. Per quanto riguarda il primo aspetto, centrale è la possibilità per le vittime di agire per ottenere un indennizzo in tempi ragionevoli.
Questi i comportamenti da punire: violenza psicologica, stalking, violenza fisica, violenza sessuale, matrimonio forzato, mutilazioni genitali, aborto forzato e sterilizzazione, molestie sessuali. Nella previsione di questi reati, però, gli Stati devono escludere che possa essere utilizzata come esimente la sussistenza di ragioni culturali o di onore. La giurisdizione per i crimini deve essere attribuita ai giudici dello Stato sul cui territorio è perpetrato l'illecito o di cui l'autore o la vittima abbiano la nazionalità o la residenza abituale. Per le sanzioni, l'articolo 45 richiama quanto previsto in molte decisioni quadro e direttive Ue e richiede unicamente che le sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive, con la possibilità di misure aggiuntive di monitoraggio nei confronti di chi commette crimini contro le donne.
Da escludere, invece, ogni possibilità di ricorrere a mediazione o altre forme alternative di soluzione delle controversie nei casi di violenze di questo genere.
Un chiaro orientamento, poi, verso la procedibilità d'ufficio di questi reati la cui punizione deve andare avanti anche nel caso di ritiro delle denunce.
Per garantire un costante miglioramento nell'attuazione della Convenzione e assicurare effettività ai diritti è disposta l'istituzione di un nuovo organismo di controllo, il Gruppo di esperti per le azioni contro la violenza sulle donne e la violenza domestica (GREVIO). |
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Della violenza domestica si è occupata anche la Corte europea dei diritti dell'uomo
che, nella sentenza del 9 giugno 2009 relativa al caso Opuz contro Turchia (ricorso
n. 33401/02), ha rafforzato la protezione delle vittime di violenza all'interno del
nucleo familiare offrendo da un lato alle vittime un'ampia possibilità di ricorrere
a Strasburgo per far valere i propri diritti e, dall'altro lato, imponendo agli Stati
l'adozione di misure positive per garantire in modo effettivo la tutela delle donne.
La
Corte, in quell'occasione, ha anche mostrato un chiaro favore verso la perseguibilità
d'ufficio nei casi di violenza domestica. Trincerarsi, per uno Stato, dietro l'obbligo
di denuncia della vittima significa non solo non tutelare la vittima, ma ledere
l'interesse pubblico perché l'intera collettività esige che un individuo che commette
violenze sia punito, a prescindere dalla denuncia della persona direttamente lesa. |
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DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATOAl via il regolamento sulle obbligazioni alimentari |
Dal 18 giugno 2011 è applicabile il regolamento n. 4/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008
relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni
e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari (in GUUE L 7 del 10 gennaio 2009,
p. 1 ss.). Costituito da 76 articoli, da undici allegati, da nove moduli, il regolamento punta a
semplificare il recupero effettivo dei crediti alimentari grazie all'armonizzazione delle norme
di conflitto, all'attribuzione, almeno in via generale, della competenza al giudice più vicino al
creditore e all'eliminazione, con alcune eccezioni, dei passaggi intermedi per l'esecuzione di
un provvedimento emesso in uno Stato membro in altri Paesi Ue, agevolando la cooperazione amministrativa tra le autorità nazionali.
Le regole sull'entrata in vigore sono fissate dall'articolo 76 in base al quale esso sarà in gran
parte applicabile dal 18 giugno 2011 a condizione che nell'Unione europea possa essere attuato
il Protocollo dell'Aja del 23 novembre 2007 sulla legge regolatrice delle obbligazioni alimentari.
L'indicato Protocollo dispone che l'entrata in vigore è fissata il 1° giorno del mese successivo ai 3
mesi seguenti al deposito del secondo strumento di ratifica (si veda, per lo stato delle ratifiche, il
sito della Conferenza dell'Aja www.hcch.net). L'Unione europea ha ratificato il Protocollo
l'8 aprile 2010 e ne ha dichiarato l'applicazione provvisoria dal 18 giugno 2011 anche se il suddetto
atto non è ancora entrato in vigore sul piano internazionale.
Alcune disposizioni del regolamento erano in ogni caso già applicabili dal 18 settembre 2010.
Si tratta, in particolare, di disposizioni funzionali a garantire, una volta entrato in vigore in via
generale il regolamento, la cooperazione amministrativa tra gli Stati membri. Di conseguenza, entro
il 18 settembre |
2010, gli Stati membri dovevano comunicare le informazioni utili per individuare
le autorità giurisdizionali o le altre autorità competenti che possono ottenere la dichiarazione
di esecutività, le lingue da utilizzare ed eventuali modifiche dei moduli da impiegare per la
trasmissione di documenti. Le informazioni sono reperibili nel sito dell'Atlante giudiziario europeo
in materia civile (http://ec.europa .eu/ justice_home /judicialatlascivil/html/ mo_information_en.htm).
L'Italia ha indicato come Autorità centrale il Dipartimento per la giustizia minorile (email:
giustizia.minorile@giustizia.it; tel. 0668807087).
Sono vincolati dal regolamento tutti gli Stati Ue con esclusione della Danimarca (considerando n.
48 del Preambolo). Tuttavia, tenendo conto dell'accordo concluso dalla Danimarca con l'Unione
europea il 12 giugno 2009, il quale stabilisce che il regolamento n. 4/2009 sarà applicato «nella misura in cui tale regolamento modifica il regolamento (CE) n. 44/2001», limitatamente alle
questioni sulla giurisdizione e sul riconoscimento delle sentenze il regolamento n. 4/2009 sarà
applicato nella parte in cui modifica Bruxelles I «ad eccezione delle disposizioni del capo III e del
capo VII».
Per quanto riguarda la posizione di Irlanda e Regno Unito, mentre il primo Stato ha comunicato
immediatamente la volontà di essere vincolato dall'atto Ue, il Regno Unito che in primo momento
aveva dichiarato di non partecipare all'adozione del regolamento, ha poi modificato la propria
posizione, notificando con lettera del 15 gennaio 2009 l'accettazione del regolamento. Di
conseguenza, con decisione della Commissione 2009/451/CE dell'8 giugno 2009 il regolamento è
vincolante anche per il Regno Unito, fermo restando, però, che per la parte del diritto applicabile, il
Regno Unito non è vincolato dal Protocollo dell'Aja del 2007. |
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Di recente in materia di rapporti familiari, la Commissione europea il 16 marzo 2011, ha
presentato due proposte di regolamento relative all'adozione di due differenti strumenti sulla
giurisdizione, sulla legge applicabile e sull'esecuzione delle decisioni in materia di regimi
patrimoniali, uno relativo ai coniugi (COM(2011)126) e l'altro ai partner di unioni registrate
(COM(2011)127).
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SENTENZE DAL MONDO |
Maternità surrogata
La Corte di cassazione francese torna sul tema della maternità surrogata. E lo fa ribadendo
che la trascrizione di un atto notorio relativo allo status di figlio legittimo nato a seguito di
maternità surrogata è contraria all'ordine pubblico. In particolare, con la sentenza n. 371 del 6
aprile 2011 (n.09-17-130), la Corte di Cassazione, prima sezione civile, ha respinto il ricorso
presentato da due coniugi che avevano avuto un figlio nato in Minnesota a seguito di un accordo
di maternità surrogata con una cittadina statunitense. I coniugi avevano chiesto la trascrizione del
documento attestante il proprio status di genitori agli uffici di stato civile, ma l'istanza era stata
respinta, spingendo i coniugi a presentare ricorso in Cassazione che, però, ha dato ragione sia agli ufficiali di stato civile, sia ai giudici di primo grado. Per la Suprema Corte, infatti, il principio di
indisponibilità della persona ha un carattere essenziale nell'ordinamento francese e, quindi, una
convenzione che conduce una donna a portare avanti una gravidanza per conto di un'altra donna,
è contraria all'ordine pubblico. Hanno avuto ragione, quindi, i giudici di appello a negare effetti al
provvedimento straniero ottenuto negli Stati Uniti, tanto più che, ad avviso della Suprema Corte,un simile diniego non lede il diritto al rispetto della vita privata e familiare della coppia di coniugi
garantito dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, né l'interesse superiore del
minore tutelato dalla Convenzione sui diritti del fanciullo.
(La pronuncia è reperibile nel sito
www.courdecassation.fr).
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Protezione internazionale
Sul diritto di appello nei casi in cui le autorità nazionali rifiutino la concessione della protezione
internazionale a un cittadino extracomunitario la parola passa alla Corte di giustizia dell'Unione
europea. Con decisione del 25 maggio 2011 [2011] UKSC 22, (FA (Iraq) v. Secretary of State
for the Home Department), la Corte suprema inglese, prima di pronunciarsi su tale questione,
ha preferito chiamare in causa i giudici Ue sottoponendo taluni quesiti interpretativi. La vicenda
ha preso il via da una richiesta di asilo e di protezione internazionale presentata alle autorità
amministrative inglesi da un cittadino di appena 15 anni arrivato dall'Iraq nel Regno Unito senza
alcun accompagnamento. Le sue domande erano state respinte al pari dei suoi ricorsi. Il tribunale
di primo grado, in particolare, aveva sostenuto che avverso il diniego relativo alla richiesta di
protezione umanitaria non era prevista un'impugnazione in sede giurisdizionale. Il richiedente
aveva presentato un ricorso in appello sostenendo che l'assenza di un rimedio giurisdizionale
violava il principio di equivalenza in base al diritto Ue. I giudici inglesi hanno condiviso questa
posizione, ma il Segretario di Stato ha impugnato il provvedimento dinanzi alla Corte Suprema
che, prima di decidere, ha presentato un ricorso in via pregiudiziale alla Corte Ue (la pronuncia è
reperibile nel sito www.supremecourt.gov.uk. Sulla protezione internazionale si veda il post del
25 novembre 2010. Sulla GUUE del 19 maggio 2011 L 132, p. 1 ss., è stata pubblicata la direttiva
2011/51/Ue dell'11 maggio 2011 che modifica la direttiva 2003/109/Ce per estenderne l'ambito di
applicazione ai beneficiari di protezione internazionale). |
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