Trattamenti disumani e degradanti: l’Italia ha violato nuovamente la Convenzione

 

Nuova condanna all’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che stabilisce il divieto di trattamenti disumani e degradanti. Con sentenza depositata ieri, Strasburgo, nel caso Contrada (n. 2) contro Italia (n. 7509/08, AFFAIRE CONTRADA c-1. ITALIE N 2) ha accertato la violazione a causa della permanenza in carcere del detenuto afflitto da numerose e gravi patologie. Questi i fatti. Bruno Contrada, ex funzionario di polizia, capo di gabinetto dell’alto commissario per la lotta alla mafia e vicedirettore del Sisde, era stato condannato dal Tribunale di Palermo nel 1996 a dieci anni di reclusione, per concorso esterno in associazione di stampo mafioso. I giudici di secondo grado avevano ribaltato il giudizio assolvendolo perché il fatto non sussisteva. Con sentenza della Cassazione del 2002, tale verdetto era stato annullato anche perché non adeguatamente motivato. La vicenda era tornata dinanzi ai giudici di appello che, nel 2006, avevano confermato la condanna disposta in primo grado. La “partita” si è chiusa, almeno in Italia, con la pronuncia della Corte di Cassazione dell’8 gennaio 2008 con la quale è stato respinto il ricorso di Contrada. Quest’ultimo si è rivolto alla Corte europea sostenendo che il suo stato di salute era incompatibile con la reclusione in carcere. Il ricorso è stato accolto: le patologie del detenuto – osserva la Corte – avevano un livello di serietà elevato, attestato da numerosi certificati medici presentati in ripetute occasioni. Inoltre, durante le udienze, gli stessi sanitari del carcere avevano attestato le malattie del condannato che, però, solo dopo oltre nove mesi dalla presentazione della prima domanda era riuscito ad ottenere gli arresti domiciliari nell’abitazione della sorella. Per la Corte, quindi, considerato che  “il mantenimento in carcere del ricorrente era incompatibile con il divieto di trattamenti disumani e degradanti stabilito dall’articolo 3 della Convenzione”, l’Italia ha violato la Convenzione. Respinte invece le accuse di violazione delle regole sull’equo processo.

Sul fronte della corresponsione di un equo indennizzo, la Corte ha deciso che lo Stato deve versare 10mila euro per i danni non patrimoniali subiti dal ricorrente e 5mila euro per le spese processuali sostenute.

Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/concorso-esterno-in-associazione-mafiosa-la-cedu-comunica-al-governo-il-caso-contrada.html

Per un precedente si veda http://www.marinacastellaneta.it/blog/se-mancano-cure-adeguate-in-carcere-certa-la-condanna-per-trattamenti-degradanti.html 

 

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