Libertà di espressione con limiti per i magistrati

Libertà di espressione limitata per i magistrati ma solo nei casi in cui manifestino il proprio pensiero alla stampa con un inevitabile impatto sull’opinione pubblica e in un contesto che determina un danno per il sistema giudiziario. Supera invece il vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo il sistema di sanzioni disciplinari predisposto attraverso il Consiglio superiore della magistratura. Con sentenza del 9 luglio 2013 la Corte di Strasburgo si è pronunciata sui limiti alla libertà di espressione garantita dall’articolo 10 della Convenzione europea nel caso di magistrati (ricorso n. 51160/06, AFFAIRE DI GIOVANNI c. ITALIE). A Strasburgo si era rivolto un magistrato che, in un’intervista al giornale “Libero”,  aveva espresso dubbi sull’andamento del concorso per l’accesso alla magistratura e sul peso dell’Associazione nazionale magistrati (ANM) all’interno del Consiglio superiore della magistratura. Alcuni componenti del CSM avevano chiesto al Comitato di presidenza l’apertura di una pratica per verificare la veridicità di quanto sostenuto dal magistrato. Pochi giorni dopo, in una successiva intervista al quotidiano, la donna aveva precisato il proprio pensiero. Ciò, però, non le era valso ad impedire l’avvio di un’azione disciplinare da parte del Consiglio superiore della magistratura in base all’articolo 18 del Dlgs n. 511 del 31 maggio 1946 per aver violato l’obbligo di discrezione e di riservatezza. Il procedimento si era concluso con la comminazione di una misura disciplinare lieve ossia l’ammonimento per le dichiarazioni rese nei confronti dell’ANM ma non per le insinuazioni nei confronti di un collega. Il magistrato aveva fatto ricorso in Cassazione sollevando anche una questione di incostituzionalità in relazione all’indipendenza e all’imparzialità dell’organo di disciplina del CSM che però era stato respinto dalla Corte di Cassazione. Di qui il ricorso alla Corte europea, ugualmente respinto, sia con riguardo all’articolo 6 della Convenzione (equo processo) sia all’articolo 10 (libertà di espressione).

Prima di tutto, la Corte europea ha precisato che anche ai magistrati, così come ad altri funzionari pubblici, devono essere fornite le garanzie assicurate dall’articolo 6 della Convenzione. Tuttavia, prima di agire dinanzi alla Corte, è necessario esperire i ricorsi interni cosa che il ricorrente, almeno per le questioni relative alla ricusazione dei componenti della sezione disciplinare, non aveva fatto. Strasburgo è invece entrata nel merito del ricorso per altri profili contestati dalla ricorrente quali l’assenza di indipendenza e imparzialità della sezione disciplinare del Csm. Una tesi respinta dalla Corte europea: la sezione disciplinare – osserva Strasburgo – rispetta i criteri dell’articolo 6 della Convenzione ed è da considerare come un organo giurisdizionale imparziale e indipendente, costituito per legge. I componenti della sezione disciplinare non sono sottoposti a un controllo gerarchico e lo svolgimento del procedimento avviene nel pieno rispetto delle norme del codice di procedura penale, con l’acquisizione di prove e l’audizione di testi. Per quanto riguarda la violazione della libertà di espressione, la Corte ha precisato che, nel caso di specie, la questione non riguardava in via generale il diritto alla libertà di espressione di cui gode ogni individuo, ma la modalità di manifestazione attraverso la stampa. A questo proposito, secondo Strasburgo, i magistrati e i funzionari dell’ordine giudiziario devono usare il proprio diritto alla libertà di espressione – che deve quindi essere garantito – con cautela ogni qualvolta “l’autorevolezza e l’imparzialità del potere giudiziario siano suscettibili di essere messi in discussione”. Non solo. Nel bilanciare i diversi diritti in gioco, la Corte fa pendere l’ago della bilancia sulla necessità di garantire il prestigio del sistema giudiziario e gli imperativi superiori della giustizia. Fino al punto di affermare che i rappresentati dell’autorità giudiziaria “non devono utilizzare la stampa neanche per rispondere a delle provocazioni”. Necessaria, in ogni caso, una valutazione del tenore delle dichiarazioni e del contesto generale.

Inoltre, per la Corte, l’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione era stata proporzionale perché la sanzione era stata  la più tenue tra quelle previste, ossia l’ammonimento. Di qui il rigetto del ricorso contro l’Italia.

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