Con la legge n. 77 del 27 giugno 2013 l’Italia ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione sulla prevenzione e il contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica adottata a Istanbul, dal Consiglio d’Europa, l’11 maggio 2011 (convenzione di istanbul). C’è però ancora da attendere per la sua entrata in vigore perché la Convenzione è stata accolta con freddezza dagli Stati. Stando almeno al numero basso di ratifiche: all’8 luglio la Convenzione è stata ratificata solo da Albania, Italia, Montenegro, Portogallo e Turchia. Mancano ancora 5 Stati per l’entrata in vigore prevista 3 mesi dopo la ratifica di dieci Stati, a condizione che almeno otto ratifiche provengano da membri del Consiglio d’Europa. La Convenzione s’inserisce nel contesto di altri atti internazionali ratificati dall’Italia, come la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne del 18 dicembre 1979 (ratificata con legge 14 marzo 1985 n. 132), a cui si affianca il Protocollo opzionale del 1979, con la possibilità di rivolgersi al Comitato Onu per l’eliminazione delle discriminazioni. In ogni caso se sul piano formale tutto è stato fatto non c’è dubbio che la ratifica di atti internazionali non basta per fronteggiare un fenomeno in continua crescita. Molto, troppo spesso, le vittime “scelgono” il silenzio, in parte obbligate dall’assenza di strutture di supporto. Senza dimenticare che le grida di aiuto non vengono raccolte anche a causa del numero esiguo di forze destinate in modo specifico a combattere questi crimini. Poi scatta il dramma con un mea culpa generale che però travolge vittime e famiglie. Non basta, quindi, un quadro normativo almeno formalmente efficace, perché è indispensabile garantire una protezione effettiva che non sembra presente anche a causa del numero limitato di casi in cui i colpevoli sono puniti. Ciò è stato evidenziato dal Comitato Onu per l’eliminazione delle discriminazioni verso le donne che nel rapporto del 2011 ha indirizzato alcune raccomandazioni all’Italia chiedendo di “attuare misure complete per affrontare la violenza contro le donne” e un’adeguata protezione a coloro che subiscono violenza, oltre a garantire l’accesso al gratuito patrocinio e a forme di riparazione per le vittime. I casi di violenza contro le donne all’interno delle mura domestiche restano però troppi.
Per quanto riguarda la ratifica della Convenzione di Istanbul va ricordato che, al momento della sottoscrizione della Convenzione, l’Italia ha depositato una nota verbale nella quale è specificato che la Convenzione si applicherà nel rispetto dei principi e delle previsioni costituzionali. Questa specificazione è dovuta alla circostanza che la nozione di genere contenuta nella Convenzione in base alla quale “ci si riferisce a ruolo, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini” è stata considerata troppo ampia nel disegno di legge presentato dal precedente Ministro degli esteri Terzi di Sant’agata e dal Ministro del Lavoro Fornero (si veda il disegno di legge doc. A.S.3654), con ciò evidentemente optando per una restrizione e non per un ampliamento dell’applicazione dell’accordo, probabilmente per escludere i transessuali.
La ratifica della Convenzione impone alcune modifiche al codice penale con l’inserimento del reato di matrimonio forzato e della sterilizzazione forzata. I reati di violenza psicologica (articolo 33 della Convenzione), di stalking (articolo 34), di violenza fisica (articolo 35), di violenza sessuale compreso lo stupro (articolo 36), di molestie sessuali (articolo 40) trovano già un’apposita regolamentazione e punizione nel nostro ordinamento. I primi due reati sono disciplinati nella legge 23 aprile 2009, n. 38 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori” che ha introdotto l’articolo 612 bis, mentre la violenza sessuale è disciplinata dall’articolo 609 bis e la molestia sessuale dall’articolo 660 (si veda, sulla differenza tra le due fattispecie, la sentenza della Corte di Cassazione sezione terza penale, 4 ottobre 2012, n 38719). Così, sono già vietate le mutilazioni genitali femminili e punite in sede penale grazie alla legge 9 gennaio 2006 n. 7 “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile. L’aborto forzato, seppure non del tutto corrispondente all’articolo 39, è già previsto come reato dall’articolo 18 della legge 22 maggio 1978 n. 194.
Per garantire un costante miglioramento nell’attuazione della Convenzione e assicurare effettività ai diritti è stabilita l’istituzione di un nuovo organismo di controllo, il Gruppo di esperti per le azioni contro la violenza sulle donne e la violenza domestica (GREVIO)
Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/vittime-di-violenza-familiare-obbligo-di-misure-positive-in-base-alla-cedu.html
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