Commissione di crimini. Tortura. Trattamenti disumani e degradanti. E’ questo lo scenario descritto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (ma non solo) nel caso delle extraordinary renditions. Ma oggi all’Italia poco importa. E questo malgrado sia stato l’unico Paese, lodato anche dal Relatore speciale del Consiglio d’Europa Dick Marty nel rapporto del 12 giugno 2006 (Doc. n. 10957) che, attraverso le autorità giudiziarie ha provato a far luce sull’agghiacciante fenomeno delle renditions (non sono mancate invece critiche al Governo allora in carica che “non ha considerato necessario chiedere alle autorità statunitensi spiegazioni sulle operazioni eseguite da propri agenti”).
Ieri, con una mossa a sorpresa, ma neanche tanto perché evidentemente la strategia era pronta dall’adozione del Decreto 11 marzo 2013 n. 27 (DPR 27), il Presidente della Repubblica ha concesso la grazia non a chi è in carcere per reati di poco conto spesso motivati dalle condizioni di miseria, in situazioni detentive che corrispondono a trattamenti disumani e degradanti, ma al colonnello Joseph Romano condannato in contumacia dalla Corte di appello di Milano il 15 dicembre 2010 per il sequestro di Abu Omar. A quell’epoca il colonnello, che oggi ottiene la grazia, era responsabile della sicurezza della base militare di Aviano da cui è partito il volo segreto con Abu Omar a bordo. La sentenza di condanna nei suoi confronti è definitiva dal 19 settembre 2012. Inutile chiamare in causa la giustizia e il diritto che con questa mossa del Presidente della Repubblica sono ampiamente seppellite.
Le motivazioni addotte poi, stando a quanto riportato dal comunicato stampa della Presidenza della Repubblica (Notizia), sorprendono ancora di più rispetto alla concessione della grazia. Sarebbe meglio non cercare alibi giuridici. Per il Presidente della Repubblica, il provvedimento ha una sua giustificazione in alcune nuove situazioni. Prima di tutto, nella circostanza che l’amministrazione Obama ha messo fine alle pratiche di lotta al terrorismo che violano i diritti umani. Non è proprio così (si legga l’articolo del New York Times del 5 aprile http://www.nytimes.com/2013/04/06/opinion/hunger-strike-at-guantanamo-bay.html?hp&_r=0) e poco importa visto che il crimine è stato già commesso dal colonnello Usa sul territorio italiano e che, solo per fare un esempio, Guantanamo è ancora lì malgrado la volontà di Obama di girare pagina. Non si vede poi cosa c’entri la rinuncia alla giurisdizione con la rinuncia alla punizione e all’applicazione della giustizia. Ingiustificato, quindi, il richiamo al recente Dpr. n. 27 che stabilisce, nell’applicazione della Convenzione di Londra del 1951 sullo status delle forze armate dei Paesi Nato, la rinuncia all’esercizio della giurisdizione italiana per i reati commessi da militari della Nato sul territorio in ogni stato e grado del procedimento fino al passaggio in giudicato della sentenza. Nel caso di Joseph Romano la sentenza è ormai definitiva e quindi il Dpr. n. 27 non è applicabile. Sorprende, poi, in senso negativo, il richiamo del tutto strumentale alla situazione dei due fucilieri ostaggio dei politici italiani più che della giustizia indiana. I due militari svolgevano un’attività di lotta alla pirateria per conto dello Stato italiano e non certo azioni illegittime volte al sequestro di persona. Infliggere l’umiliazione di un confronto con il caso della extraordinary rendition di Abu Omar è veramente troppo.
Si vedano i post dell’11 febbraio 2013 http://www.marinacastellaneta.it/blog/il-governo-tecnico-impugna-ancora-larma-del-segreto-di-stato-per-bloccare-il-processo-agli-ex-vertici-del-sismi-nel-caso-abu-omar.html e del 24 febbraio http://www.marinacastellaneta.it/blog/no-al-segreto-di-stato-se-impedisce-laccertamento-delle-responsabilita-nei-casi-di-tortura-utilizzata-per-la-lotta-al-terrorismo.html
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