Nei casi di estradizione lo Stato richiesto non può rivalutare il materiale probatorio dello Stato richiedente

Nuova pronuncia della Corte di Cassazione, III penale, sulla corretta interpretazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sull’estradizione del 13 dicembre 1957, in vigore per l’Italia dal 1963. Con sentenza n. 12812/13 depositata il 19 marzo 2013 (estradizione), la Suprema Corte ha annullato con rinvio la decisione della Corte di appello di Venezia che aveva escluso l’estradizione di un cittadino ucraino che doveva essere sottoposto a un procedimento per rapina in Patria ritenendo che il reato era prescritto sia in base alla legge italiana sia a quella dello Stato richiedente e che, soprattutto, non sussistevano prove in ordine alla commissione del reato per il quale era stata richiesta l’estradizione. Chiara la Cassazione che, dopo aver ricostruito gli orientamenti giurisprudenziali sul punto, ha precisato che le autorità italiane non possono valutare il materiale probatorio relativo alla decisione esecutiva dell’autorità giudiziaria straniera, ma devono limitarsi a effettuare una verifica sulla base della relazione sommaria dei fatti dalla quale risultino le ragioni per le quali l’estradando, secondo lo Stato richiedente, ha commesso il reato in oggetto. In pratica, osserva la Cassazione, i giudici nazionali dello Stato richiesto dell’estradizione non possono procedere a una rivalutazione del materiale probatorio ma devono solo limitarsi a un esame formale del titolo esecutivo straniero e verificare unicamente la probabilità che l’estradando abbia commesso il reato. Annullata la pronuncia, la questione torna ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.

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