La mancata assunzione della testimonianza della vittima di uno stupro nel processo e l’impossibilità per l’imputato di controinterrogarla non incide sull’equità del procedimento penale. Lo ha chiarito la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Gani contro Spagna del 19 febbraio 2013 (ricorso n. 61800/08, CASE OF GANI v. SPAIN) con la quale Strasburgo ha respinto il ricorso di un individuo, condannato dai tribunali spagnoli a 27 anni di carcere per aver sequestrato e stuprato la sua ex partner, il quale sosteneva che era stato violato l’articolo 6 par. 1 e par. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché non aveva potuto, tramite il suo difensore, controinterrogare la vittima.
Prima di tutto, la Corte europea è partita dalla constatazione che spetta agli Stati regolare le modalità di assunzione delle prove. E’ vero che essi sono tenuti a garantire l’equità del processo ma la mancata testimonianza della vittima nel procedimento che comporta la condanna dell’imputato non determina in modo automatico una violazione dell’articolo 6. E questo anche quando la testimonianza resa prima del processo sia l’unica prova della responsabilità penale dell’imputato. A patto, però, che da una valutazione globale risulti che le autorità nazionali hanno agito in modo diligente cercando di sopperire con altri strumenti all’impossibilità per la difesa di interrogare la vittima, sofferente di disturbi post traumatici provocati dal reato subito, e adottando misure alternative adeguate. E questo – precisa la Corte – vale soprattutto nei casi di commissione di reati legati a violenza sessuale in cui la vittima è in una grave condizione psichica. A ciò si aggiunga che l’articolo 6, par. 3, lett. d) laddove riconosce che ogni accusato ha diritto, come minimo, a “interrogare o fare interrogare i testimoni a carico…”, non intende affermare un diritto assoluto e automatico, che può, quindi, essere limitato laddove sussistano talune esigenze, a condizione che dalla valutazione globale del processo ne risulti l’equità.
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