Contrarie alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo le differenze di trattamento nel riconoscimento di diritti successori tra figli legittimi e naturali

Il mancato riconoscimento di diritti ereditari a un figlio illegittimo è una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E questo anche quando lo Stato in causa ha modificato la legge ma non ne ha previsto l’applicazione alle donazioni, che privilegiano i figli legittimi, effettuate prima dell’entrata in vigore della nuova legge. E’ il principio stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Fabris contro Francia depositata il 7 febbraio (ricorso n. 16574/08, CASE OF FABRIS v. FRANCE) con la quale la Corte ha condannato la Francia per violazione dell’articolo 14 che vieta ogni forma di discriminazione e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 sul diritto di proprietà. Il verdetto è stato reso dalla Grande Camera che ha ribaltato le conclusioni della Camera rese il 21 luglio 2011. Alla Corte si era rivolto il figlio di una relazione extraconiugale che era stato danneggiato da una donazione inter vivos con la quale la madre aveva attribuito i beni ai due figli legittimi. L’uomo aveva cercato di far annullare la donazione ma sul piano nazionale non aveva ottenuto un risultato favorevole perché la legge introdotta nel 2001, a seguito della sentenza della Corte europea nel caso Mazurek che riconosce eguali diritti a figli legittimi e naturali non poteva applicarsi alla donazione effettuata nel 1970. Sia i giudici interni sia la Camera avevano privilegiato la necessità di assicurare certezza alle situazioni giuridiche e rigettato il ricorso del ricorrente. Di diverso avviso la Grande Camera che ha ritenuto violato l’articolo 14 che vieta ogni forma di discriminazione. Per Strasburgo, malgrado il carattere dichiarativo delle pronunce della Corte che lascia libertà agli Stati nella scelta dei mezzi, lo Stato deve applicare misure in modo da assicurare il pieno rispetto della Convenzione. E’ vero, poi, che la Corte non si occupa di risolvere controversie tra privati ma nell’esercitare il suo potere di supervisione non può rimanere passiva laddove un giudice interno interpreta un atto pubblico, un contratto o un testamento in modo palesamente contrario al principio di non discriminazione.

La Corte si è riservata di decidere sulla quantificazione dell’indennizzo ex articolo 41.

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