L’onere della prova sull’esistenza di discriminazioni in ragione del sesso, dell’età e dell’origine etnica grava su colui che si ritiene vittima di una discriminazione. Di conseguenza, un lavoratore che ha partecipato a una procedura di selezione ed è stato escluso non può far valere il diritto di accesso alle informazioni che gli consentano di individuare i motivi che hanno spinto il datore di lavoro di un’azienda privata a selezionare un’altra persona. Lo ha stabilito la Corte di giustizia Ue nella sentenza del 19 aprile (causa C-415/10, Galina Meister, http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=121741&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=959794) a seguito di un rinvio pregiudiziale proposto dalla Corte federale del lavoro tedesca investita di una controversia tra una donna di origine russa che aveva risposto a un annuncio pubblicato da una società tedesca alla ricerca di un esperto di software. La candidatura della donna era stata respinta e ritenendo di avere i requisiti richiesti e di aver subito un trattamento discriminatorio, in contrasto con le direttive 2000/43 (sulla parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica), 2000/78 (che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione di condizioni di lavoro) e 2006/54 (sull’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego), la donna aveva chiesto di avere accesso al dossier del candidato assunto. Una richiesta che non ha un fondamento nel diritto Ue, spiega la Corte di giustizia, secondo la quale spetta a colui che si ritenga vittima di una discriminazione dimostrare i fatti che sono all’origine della sua pretesa. Nessun obbligo, quindi, per il datore di lavoro convenuto in giudizio anche se non può essere escluso che “il diniego di fornire qualunque accesso alle informazioni da parte di un convenuto possa costituire uno degli elementi da prendere in considerazione nell’ambito dell’accertamento dei fatti che consentono di presumere la sussistenza di una discriminazione diretta o indiretta”. Tanto più che il diniego di accesso non può compromettere gli obiettivi specificati nelle direttive.
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