Sottrazione internazionale: la Corte di appello inglese chiarisce come valutare i rischi per il minore

La valutazione del rischio per il minore nel caso di ritorno nel luogo di residenza abituale torna all’attenzione dei giudici inglesi che si sono pronunciati con la sentenza del 30 ottobre resa dalla Corte di appello nel caso R (Child Abduction Parent’s Refusal to Accompany) [2024] EWCA Civ 1296 (EWCA).

La vicenda aveva al centro i tre figli di una coppia – moglie inglese e padre algerino – residenti in Francia. I coniugi si erano separati e la madre, dopo una vacanza di due settimane in Inghilterra, con i figli, non era più rientrata in Francia. Di qui la richiesta del padre, ai sensi della Convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale dei minori del 25 ottobre 1980, all’autorità nazionale competente francese di ordinare il rientro dei minori nel luogo della residenza abituale. La madre, nel frattempo, si era rivolta ai giudici inglesi invocando l’articolo 13, lett. b) della Convenzione dell’Aja in base al quale il ritorno va escluso solo se “sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile”. In primo grado, i giudici inglesi, con la pronuncia del 26 giugno, avevano accolto l’istanza della madre la quale aveva dichiarato che, nel caso in cui fosse stato emesso un ordine di ritorno dei minori, non avrebbe accompagnato i bambini dal padre, in Francia. Il padre dei bambini ha presentato un ricorso ai giudici di appello sostenendo che era stata violata la Convenzione dell’Aja poiché i giudici di primo grado si erano basati unicamente sulle affermazioni della madre. La Corte di appello ha respinto il ricorso del padre. I giudici di secondo grado hanno preso atto delle difficoltà sulla valutazione dei rischi per il minore e hanno evidenziato la necessità che i giudici nazionali valutino tutte le prove rilevanti, senza basarsi unicamente sulle dichiarazioni della madre per evitare che l’articolo 13 sia utilizzato in modo abusivo, così come affermato già in passato dalla Corte suprema. Nel caso in esame, la Corte ritiene che, in effetti, la questione dell’effettiva esistenza di un danno ai bambini non sia stata accertata correttamente, ma nel momento in cui il tribunale ha ritenuto che il ritorno senza essere accompagnati dalla madre sarebbe stato intollerabile per i bambini, il padre avrebbe potuto individuare qualche misura per ridurre il rischio a un livello accettabile ma egli, dinanzi ai giudici di primo grado, non ha agito in questa direzione. Pertanto, anche se la valutazione dei giudici di primo grado, con riguardo al ritorno non è stata approfondita, poiché il giudice di primo grado si è soffermato sul rischio di un aggiramento tattico della Convenzione, la Corte di appello ha respinto il ricorso.

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