Criminalizzazione delle attività di soccorso in mare compiute dalle ONG: il quadro normativo italiano bocciato dal Relatore speciale ONU

Ostacoli alle attività delle organizzazioni non governative per la ricerca e il soccorso in mare, assegnazione dei porti per lo sbarco distanti dal luogo di soccorso in violazione del diritto internazionale del mare. Ritardi nello svolgimento dei processi relativi alle impugnazioni dei provvedimenti che dispongono multe nei confronti delle ONG. Un insieme di situazioni conseguenza delle più recenti norme adottate in Italia che, secondo la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei difensori dei diritti umani Mary Lawlor, dell’Esperto indipendente sui diritti umani e la solidarietà e del Relatore speciale sui diritti umani dei migranti, sono in contrasto con il diritto internazionale. È quanto risulta nel rapporto che è stato inviato al Governo italiano già il 31 maggio 2024 (AL ITA 4/2024, Human rights Defenders), il quale ha replicato con un documento del 5 agosto (5073). In base al sistema ONU il rapporto è rimasto confidenziale per 60 giorni e il 20 agosto è stato reso pubblico insieme alla risposta del Governo che ha mantenuto il punto sulla bontà del quadro legislativo e ha invocato il principio di leale cooperazione tra le autorità pubbliche e private, nonché la necessità di un bilanciamento e di diminuire la pressione su alcuni porti.

Dall’adozione del decreto legge n. 1/2023, poi convertito con la legge n. 15/2023, almeno 20 imbarcazioni civili impegnate nelle operazioni di search and rescue hanno subito un fermo amministrativo. Inoltre, il 3 marzo 2024, la nave Sea-Watch 5, con 70 migranti a bordo salvati durante due operazioni una delle quali ha coinvolto anche la Libia con la guardia costiera che aveva dato ordini disattesi dall’imbarcazione di soccorso, ha avuto l’ordine di procedere, in un caso, allo sbarco nel porto di Reggio Calabria e in un altro caso a Ravenna, malgrado le cattive condizioni del tempo. Così, la Sea-Watch 5 ha preso la decisione di dirigersi verso Lampedusa e Pozzallo in quanto più vicini e quindi più sicuri. Ne è seguito l’interrogatorio del Capo missione e del Comandante della nave da parte delle autorità italiane, senza la presenza dell’avvocato e il fermo dell’imbarcazione per 20 giorni. A seguito dell’impugnazione del provvedimento contro la sanzione amministrativa, il Tribunale di Ragusa aveva disposto la sospensione delle sanzioni amministrative. Altro caso ha riguardato la Geo Barents (15 marzo 2024). Un insieme di casi che mostra un quadro che preoccupa i Relatori speciali dell’Onu sia per i casi di fermo amministrativo delle navi sia per l’emissione di multe contro le organizzazioni non governative che non solo non appaiono giustificate, ma risultano in contrasto con il diritto alla libertà di associazione e l’obbligo di promuovere e proteggere i diritti umani. Ed è soprattutto la pratica di individuare porti di sbarco lontani dal luogo in cui le persone sono soccorse a preoccupare perché ha un sicuro impatto negativo sulla capacità di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Di qui la richiesta al Governo italiano di consentire le operazioni di ricerca e salvataggio in modo conforme al diritto internazionale anche perché – precisa la Relatrice speciale – i ritardi nella ricerca e nel salvataggio di migranti, richiedenti asilo e rifugiati in difficoltà in mare, così come nei porti di sbarco designati come sicuri, possono costituire tortura o maltrattamento e pregiudicare il diritto alla vita.

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