La Corte di Cassazione, prima sezione civile, interviene con la sentenza n. 35437/2023 depositata il 19 dicembre (adozione) per chiarire l’incidenza della doppia cittadinanza, tra cui quella italiana, sul riconoscimento di un provvedimento di adozione emesso negli Stati Uniti. La vicenda aveva al centro una coppia di cittadini italiani, che aveva poi acquisito anche quella statunitense, non sposata ma convivente da molti anni, che aveva adottato una minore negli Stati Uniti. Il provvedimento emesso dal Distretto giudiziario di una contea del Texas non era stato trascritto in Italia dall’Ufficiale dello stato civile in quanto ritenuto in contrasto con alcune disposizioni della legge n. 218/95. La coppia aveva impugnato il provvedimento di diniego dinanzi alla Corte di appello di Milano che, però, aveva respinto il ricorso. Per i giudici italiani, poiché gli adottanti, oltre che cittadini statunitensi erano anche italiani, ai sensi dell’articolo 41 della legge n. 218/95 andavano applicate le leggi speciali in materia di adozione dei minori, con la conseguenza che l’adozione non poteva essere riconosciuta in quanto compiuta da cittadini italiani e non stranieri. Così, il ricorso in Cassazione.
Prima di tutto, la Suprema Corte si è soffermata sulla preliminare qualificazione della fattispecie per accertare se si trattasse di un caso di adozione internazionale. Tale istituto – prosegue la Cassazione – è disciplinato dalla legge n. 184/1983 come modificata dalla Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993, ratificata dalla legge 31 dicembre 1998 n. 476. Nel caso in esame la minore è cittadina statunitense adottata da cittadini italiani, ma anche statunitensi, residenti negli Stati Uniti. L’adozione ottenuta negli Usa è, quindi, per la Cassazione, anche ai sensi della Convenzione, un’adozione estera e non un’adozione internazionale e, quindi, va applicato l’articolo 41 della legge n. 218/95 (riconoscimenti di provvedimenti stranieri in materia di adozione). Per la Suprema Corte è da escludere l’applicazione della Convenzione dell’Aja e della disciplina interna (legge n. 184/1993) perché non si è in presenza di un’adozione internazionale, non si è verificato “uno sradicamento del minore dallo Stato di origine” e quell’adozione non può essere equiparata alle adozioni di comodo, “ottenute da uno Stato straniero al fine di aggirare la più rigorosa disciplina interna”. Inoltre, la Cassazione osserva che i genitori avevano ottenuto la cittadinanza statunitense e risiedevano in California. Sul fronte della cittadinanza e dell’applicazione dell’articolo 19 in base al quale nel caso di doppia cittadinanza tra cui quella italiana quest’ultima prevale, la Corte di Cassazione ritiene che l’articolo 19 “non ha la funzione di identificare il tipo di adozione (se interna o straniera o internazionale), ma solo quello di stabilire quale sia la legge applicabile ai soggetti dotati di doppia cittadinanza, fra cui quella italiana”. Inoltre, la doppia cittadinanza, tra cui quella italiana, “non può essere considerata motivo per una disciplina deteriore dei richiedenti, rispetto ad un provvedimento che venisse domandato da una coppia di cittadinanza non italiana”. La Corte di appello non ha invece esaminato la questione della contrarietà all’ordine pubblico. Un profilo potrebbe venire in rilievo, ossia la circostanza che la coppia non era sposata ma convivente e l’articolo 6 della legge n. 184/1983 stabilisce che solo le coppie sposate possono accedere alle adozioni. Tuttavia, questo per la Suprema Corte è “superato” dall’obbligo di garantire il principio del preminente interesse del minore e, quindi, del rispetto del suo diritto all’identità e alla stabilità delle relazioni affettive, relazionali e familiari, nonché del principio della parità di trattamento tra tutti i figli, “nati all’estero e fuori del matrimonio o adottivi, che trova la sua fonte costituzionale negli art. 3 e 31 Cost e che è stato inverato dalla recente riforma della filiazione”. A ciò si aggiunga che va considerata la genitorialità sociale. Pertanto, per la Suprema Corte non vi è una contrarietà con i principi di ordine pubblico internazionale. Affermato così il principio di diritto in base al quale “Ove ricorrano le condizioni per il riconoscimento della sentenza di adozione straniera, ex art. 41, comma 1, l. 184/1983, la mancanza di vincolo coniugale tra gli adottanti non si traduce in una manifesta contrarietà dall’ordine pubblico, ostativa al suddetto riconoscimento automatico degli effetti della sentenza straniera nel nostro ordinamento, anche a prescindere dall’accertamento in concreto della piena rispondenza del provvedimento giudiziale straniero all’interesse della minore”.
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