“Lo svolgimento delle indagini penali non dovrebbe avere ripercussioni sul diritto dei giornalisti di dialogare con le fonti rilevanti in modo sicuro e protetto”, ma in Italia “permangono alcuni problemi da affrontare per quanto riguarda la protezione dei giornalisti nel contesto delle loro attività di reporting, anche in relazione a indagini penali”. È la Commissione europea a mettere nero su bianco il mancato rispetto dello stato di diritto almeno con riguardo al pilastro della libertà di stampa. Nel documento del 5 luglio 2023, allegato alla relazione sullo Stato di diritto 2023 (COM(2023)800, relazione generale), nel capitolo dedicato all’Italia (SWD (2023) 812 (coun_chap_italy_it), la Commissione ha espresso le proprie preoccupazioni per gli attacchi, le minacce e altre forme di intimidazione nei confronti dei giornalisti. È vero – scrive la Commissione – che presso il Ministero dell’Interno è stato istituito un centro di coordinamento specializzato sul monitoraggio dei casi di violenza e abusi nei confronti dei giornalisti e degli organi di informazione, ma gli attacchi contro i giornalisti continuano. Nei soli primi tre mesi del 2023 sono stati censiti ben 28 episodi intimidatori “di cui il 7% riconducibili a contesti di criminalità organizzata e il 43% a contesti politico/sociali”. In primo piano la piaga delle azioni legali strategiche contro i giornalisti: le querele temerarie o meglio le azioni bavaglio non solo aumentano ma sono sempre di più avviate da esponenti politici, con un sicuro effetto deterrente sulla libertà di informazione e sul lavoro giornalistico. Una questione che non viene affrontata e che era stata già evidenziata nel rapporto sulla rule of law del 2022 nel quale la Commissione aveva chiesto anche interventi per la modifica del quadro legislativo sulla diffamazione a mezzo stampa e in materia di segreto professionale. Ma i progressi sono stati limitati alla presentazione di un disegno di legge a gennaio 2023. Che, però, non convince la Commissione perché lascia aperti molti problemi. Sul fronte del pluralismo, la Commissione ha sottolineato che l’Italia ha adottato misure a sostegno dei media in difficoltà economiche, ma mancano ancora interventi strutturali per promuovere il pluralismo dei media.
In via generale, poi, mentre l’Italia si dimentica di presentare la relazione annuale sullo stato di esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo rese nei confronti dell’Italia, stabilito con la legge 9 gennaio 2006 n. 12, la Commissione ha fatto il punto sullo stato di esecuzione constatando che il tasso di sentenze pronunciate negli ultimi 10 anni che l’Italia doveva ancora attuare è stato pari al 63%, in peggioramento, quindi, rispetto al 58% del 2022, che vuol dire che le sentenze sono in attesa di esecuzione da oltre 6 anni e 2 mesi. Ancora nel libro dei sogni la costituzione dell’istituzione nazionale per i diritti umani (National Human Rights Institution – NHRI) perché il Governo nel 2022 si è limitato a presentare un disegno di legge. Sono solo quattro i Paesi Ue a non avere istituito quest’organo: si tratta di Italia, Repubblica Ceca, Malta e Romania. Tra le raccomandazioni rivolte all’Italia la richiesta di “portare avanti il processo legislativo di riforma e introduzione di garanzie per il regime della diffamazione e la protezione del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, tenendo conto delle norme europee in materia di protezione dei giornalisti” e di “proseguire gli sforzi per costituire un’istituzione nazionale per i diritti umani tenendo conto dei principi di Parigi delle Nazioni Unite”.
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