Le carenze in materia di rispetto dei diritti umani evidenziate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei casi riguardanti l’estradizione verso la Cina devono essere considerate anche dal giudice italiano perché, al di là della specifica pronuncia resa da Strasburgo, le sentenze hanno una valenza sistemica e valgono “anche nei confronti di altri soggetti di cui si richieda l’estradizione in Cina”. È la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, ad averlo stabilito con la sentenza n. 21125 depositata il 17 maggio (21125), con la quale è stato accolto il ricorso di una donna cinese nei confronti della quale i giudici di appello di Ancona avevano dato il via libera all’estradizione in Cina. Per la Suprema Corte, la sentenza del 6 ottobre 2022 dei giudici di Strasburgo nel caso Liu contro Polonia e le osservazioni conclusive del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura sulla Cina mostrano come tortura e maltrattamenti siano profondamente radicati nel sistema di giustizia penale cinese e che le informazioni fornite da Pechino nelle richieste di estradizione sono inaffidabili. Sulla pessima situazione in Cina sono anche intervenute diverse organizzazioni non governative che hanno altresì sottolineato che la Cina non ha ratificato il Protocollo addizionale alla Convenzione Onu contro la tortura. Di conseguenza, “i detenuti che ritengano di aver subito una violazione dei diritti umani non hanno la possibilità di ricorrere a forme di protezione internazionale indipendente, né è consentito agli organismi internazionali di svolgere un’indagine in loco”. Sulla base di queste premesse, ad avviso della Cassazione, la ricorrente non deve dimostrare specifici motivi personali di timore perché è sufficiente che sia accertato che la donna sarà destinata a una struttura di detenzione. La Corte di appello, invece, non aveva valorizzato gli atti internazionali e si era basata su “generiche rassicurazioni ricevute dall’autorità cinese”. Troppo peso, poi, era stato dato al corpus normativo quando risulta chiaro che non è sufficiente l’astratta esistenza di disposizioni rispettose degli obblighi internazionali, ma è di rilievo l’osservanza e l’applicazione effettiva degli standard a tutela dei diritti umani. L’esistenza di plurimi indizi indicativi di un sistematico ricorso a forme di tortura porta la Cassazione ad annullare senza rinvio la pronuncia della Corte di appello e a disporre la cessazione della misura cautelare in atto.
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