I caregiver hanno diritto al riconoscimento giuridico del loro ruolo perché, in caso contrario, sono compromessi i diritti delle persone con disabilità. E’ quanto ha deciso il Comitato Onu che controlla l’attuazione della Convenzione del 13 dicembre 2006 (ratificata dall’Italia con la legge 3 marzo 2009 n. 18), con la decisione depositata il 3 ottobre 2022 (CRDP/C/27/D/51/2018, Comitato). Il Comitato sui diritti delle persone con disabilità ha “condannato” l’Italia per violazione degli articoli 19 (diritto a una vita indipendente e all’inclusione nella comunità), 23 (diritto alla vita in famiglia) e 28 (diritto a un adeguato livello di vita e protezione sociale) della Convenzione proprio perché le persone con disabilità, a causa di questa lacuna nel riconoscimento di uno status ai familiari che le assistono, non possono godere del diritto alla vita familiare, a vivere in modo indipendente e ad avere uno standard di vita adeguato. A rivolgersi al Comitato era stata la madre di una giovane disabile che assisteva quest’ultima e il marito, anch’egli disabile. Per prestare assistenza, la donna aveva svolto il lavoro da remoto ma, nel 2017, non le era stato consentito di proseguire l’attività lavorativa con queste modalità. La donna non aveva ricevuto alcun indennizzo o sostegno economico dallo Stato e, di conseguenza, aveva deciso di rivolgersi al Comitato che, per la prima volta, si è occupato del diritto dei caregiver ad ottenere un riconoscimento giuridico del loro status sociale e un sostegno economico, incluso l’accesso al sistema pensionistico. Chiara la violazione dell’Italia nel confronti della donna, del marito e della figlia: il Comitato, infatti, ha accertato che nello Stato convenuto manca una legge che assicuri agevolazioni specifiche per i caregiver e, quindi, è evidente che un familiare di una persona disabile non è in grado di prestare l’assistenza richiesta, con conseguenze negative e dirette sul godimento dei diritti delle persone disabili. L’Italia dovrà risarcire la donna e i suoi familiari e adottare misure appropriate per garantire che la ricorrente abbia accesso ai servizi di supporto e per prevenire future violazioni della Convenzione. Inoltre, entro sei mesi, l’Italia dovrà indicare al Comitato le misure adottate.
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