Il ne bis in idem non è un principio generale di diritto internazionale e, quindi, in assenza di specifici trattati non si applica nel caso di processi avviati in due diversi Stati per i medesimi fatti, nei confronti della stessa persona. E’ la Corte di Cassazione, prima sezione penale, a stabilirlo con la sentenza n. 32932 depositata il 7 settembre 2022, con la quale la Suprema Corte ha precisato che il ne bis in idem internazionale non “assume valore di principio comune alla totalità degli ordinamenti statuali moderni e di norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta” (ne bis in idem). La Corte ha respinto il ricorso di un cittadino albanese che era stato condannato dalla Corte di assise di appello di Milano per diversi reati: il ricorrente sosteneva che era stato violato il principio del ne bis in idem internazionale che, a suo avviso, sussisteva anche tra Italia e Albania in forza della Convenzione europea di estradizione conclusa a Parigi nel 1957. Una tesi non condivisa dalla Cassazione secondo la quale nel caso di reato commesso nel territorio nazionale da parte di un cittadino di quello Stato non è precluso l’esercizio della giurisdizione penale in altri Stati per i medesimi fatti proprio perché il principio del ne bis in idem non è un principio generale del diritto internazionale come applicabile nell’ordinamento interno, come già chiarito dalla Corte costituzionale. Nel caso in cui non vi siano specifici accordi tra gli Stati coinvolti, quindi, il principio non può essere applicato. Né può essere invocato il principio contenuto nella Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 19 giugno 1990, recepita in Italia con legge 30 settembre 1993 n. 388 o nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea perché l’Albania non è membro dell’Unione. Per la Cassazione, infatti, il divieto di svolgere un secondo giudizio per fatti identici in cui vi sono gli stessi elementi costitutivi essenziali di condotta, volontà ed evento, va applicato nell’ambito interno, ma non laddove i procedimenti riguardino due Stati che non abbiano concluso alcun accordo volto a precludere l’avvio di un nuovo processo in un altro Stato. Il ne bis in idem internazionale è un “principio tendenziale”, ma non un principio generale applicabile in base all’art. 10 della Costituzione. Ben possibile, quindi, la rinnovazione di un giudizio in Italia per gli stessi fatti per i quali lo stesso imputato è stato già condannato all’estero. Per la Cassazione, solo tra Stati in cui vi è una comunanza di valori come è il caso dell’Unione europea il ne bis in idem internazionale trova applicazione. Né può essere applicato l’art. 9 della Convenzione europea di estradizione, ratificata anche da Italia e Albania, che – osserva la Cassazione – “fa riferimento a fattispecie concrete diverse da quella in esame, disciplinando solamente metodiche e procedure estradizionali”, non in grado di derogare al diritto interno. Respinto così il ricorso e confermata la condanna pronunciata dai giudici di merito.
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