L’Italia non ha rispettato gli obblighi internazionali sul trattamento dei minori stranieri non accompagnati perché ha accertato l’età del minore non tenendo conto della possibilità di un margine di errore e ha costretto un minore a vivere per quattro mesi in un centro di accoglienza per adulti. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Darboe e Camara contro Italia (ricorso n. 5797/17, CASE OF DARBOE AND CAMARA v. ITALY), depositata il 21 luglio 2022, con la quale è stata accertata la violazione dell’articolo 8, che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare, dell’articolo 3, che vieta i trattamenti inumani o degradanti e dell’articolo 13, che garantisce il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva.
Questi i fatti. Un ragazzo, cittadino del Gambia, nel 2016 era arrivato, con un barcone, in Sicilia: era stato accolto in un centro per minori ma poco dopo, poiché le autorità competenti nutrivano dubbi sulla sua minore età, era stato trasferito in un centro di accoglienza per adulti. Il ricorrente era stato sottoposto ad alcuni accertamenti per determinare l’età: dagli esami, secondo il medico, risultava che il giovane era in realtà maggiorenne. Non era stato considerato, però, che taluni degli esami svolti avevano un ampio margine di errore e, inoltre, al minore non era stato consegnato alcun provvedimento, con l’impossibilità così di impugnare l’atto. Un legale, una volta che il giovane era stato collocato nel centro di accoglienza per adulti, per di più sovraffollato (la capienza prevista era di 542 persone, mentre ne erano state accolte 1.400), si era rivolto al Tribunale di Venezia per la nomina di un tutore. Poi la richiesta di misure provvisorie alla Corte europea. La sua istanza era stata accolta e, dopo quattro mesi, il minore era stato trasferito in un centro per minori. Nel merito, nella sentenza del 21 luglio, la Corte parte dalla premessa che gli Stati hanno precisi obblighi positivi e devono assicurare che un minore non si trovi in una situazione di incertezza a causa della quale può subire conseguenze negative dal punto di vista psicologico e fisico. I minori stranieri non accompagnati – osserva la Corte – si trovano in una particolare situazione di vulnerabilità e, quindi, l’intervento dello Stato deve essere più rapido. Di conseguenza, se uno Stato ha certo il diritto di procedere a un accertamento sull’età, lo deve fare con celerità e in modo completo, con un’indagine accurata, anche alla luce degli obblighi derivanti dalla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo e dall’art. 17 della direttiva 2005/85, nonché dall’art. 18 del D.lgs. n. 142/2015 di attuazione della direttiva 2013/32 e 2013/33. Di qui la conclusione che l’Italia, non seguendo un approccio olistico e multidisciplinare per la fase di accertamento dell’età, ha violato l’articolo 8. Inoltre, il trattamento nel centro di accoglienza – sovraffollato, con le brande vicinissime, l’assenza di acqua calda e di adeguate condizioni igieniche – ha determinato anche la violazione dell’articolo 3 per i trattamenti inumani o degradati subiti al minore. E, a breve, potrebbe esserci un’altra condanna considerando che lo scenario della sentenza del 21 luglio è sostanzialmente analogo a quello del ricorso presentato da 13 minori stranieri non accompagnati ospitati nell’hotspot di Taranto (caso Trawalli e altri contro Italia, ricorso n. 47287/17), comunicato all’Italia l’11 gennaio 2018.
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