La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza depositata il 7 luglio, nella causa C-261/21, torna sulle conseguenze legate a una non corretta interpretazione del diritto dell’Unione che si consolida in una sentenza interna passata in giudicato (C-261:21). Lussemburgo ha chiarito che gli Stati membri non sono obbligati a prevedere nel proprio ordinamento meccanismi che permettano ai singoli di chiedere la revoca di una sentenza definitiva per motivi legati a una non corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea anche se, nell’individuare rimedi giurisdizionali, deve essere garantito il principio di equivalenza e di effettività. Questi i fatti: per l’immissione in commercio di un farmaco due società avevano stipulato un accordo di ripartizione del mercato. Alcuni medici avevano continuato a prescrivere un altro farmaco indicato dalle autorità europee per il trattamento di malattie diverse rispetto a quelle per le quali i medici procedevano alla prescrizione (uso off-label). Altre due società avevano iniziato a diffondere notizie sulla sicurezza del farmaco ad uso off-label e, successivamente, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva inflitto due ammende alle aziende che avevano concluso un’intesa volta a manipolare la percezione dei rischi del prodotto precedente. Il Tar del Lazio aveva respinto i ricorsi delle imprese e, prima di decidere, il Consiglio di Stato si era rivolto alla Corte Ue. A seguito di questa prima pronuncia della Corte di giustizia, il Consiglio di Stato aveva respinto il ricorso delle aziende che, a loro volta, avevano chiesto una revocazione della sentenza. Il Consiglio di Stato ha sollevato una nuova questione pregiudiziale per verificare se l’ordinamento nazionale sia tenuto a prevedere l’obbligo di revocazione di una sentenza passata in giudicato nel caso sia confliggente con una sentenza della Corte Ue. Gli eurogiudici partono dal presupposto che gli Stati devono garantire una tutela giurisdizionale effettiva, ma spetta a ciascun Paese membro fissare le modalità processuali dei rimedi giurisdizionali nel rispetto del principio di equivalenza e di effettività. Ora, poiché l’articolo 106 del codice del processo amministrativo, letto congiuntamente con gli articoli 395 e 396 c.p.c., limita in modo uguale le possibilità di richiedere una revoca di una sentenza del Consiglio di Stato, “indipendentemente dal fatto che la domanda di revocazione trovi un proprio fondamento in disposizioni di diritto nazionale oppure in disposizioni del diritto dell’Unione” e che il diritto processuale italiano non rende impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, nel settore del diritto della concorrenza, dei diritti conferiti ai singoli dall’ordinamento Ue, la Corte conclude nel senso che non sussiste l’obbligo di prevedere la possibilità di chiedere la revoca di una sentenza definitiva.
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