La condanna per crimini di guerra decisa dai giudici croati aveva una base giuridica nel diritto internazionale e non ha importanza che i crimini siano stati commessi prima o dopo l’indipendenza della Croazia. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Milanković contro Croazia depositata il 20 gennaio 2021 (ricorso n. 33351/20, CASE OF MILANKOVIĆ v. CROATIA). A rivolgersi a Strasburgo è stato un cittadino croato che, nel periodo della guerra del 1991, era vice capo dei servizi di polizia della Sisak-Moslavina e comandante delle forze di polizia di un’ampia regione. L’uomo era stato accusato di crimini di guerra commessi contro alcuni prigionieri serbi ed era stato condannato a dieci anni di reclusione per aver ordinato tre crimini e non essere intervenuto, malgrado la sua funzione di comando, in altri 18 casi. La base giuridica della condanna era nel codice penale e nelle norme della terza e della quarta Convenzione di Ginevra del 1949, nonché nel I protocollo addizionale sui conflitti armati internazionali. L’uomo sosteneva che queste norme non erano applicabili perché la Croazia non aveva ancora raggiunto l’indipendenza e, quindi, il conflitto era da classificare come interno. A suo avviso, doveva essere applicato il II Protocollo addizionale sui conflitti non internazionali che non prevede una responsabilità del comandante in caso di crimini. Di qui il ricorso alla Corte europea che, però, non ha ritenuto violato l’articolo 7 della Convenzione che afferma il principio nullum crimen sine lege. Prima di tutto, la Corte di Strasburgo ha tenuto a precisare che le norme convenzionali vanno interpretate, laddove possibile, in conformità ad altre disposizioni di diritto internazionale, incluse le norme dello Statuto per il Tribunale penale internazionale per i crimini nell’ex Iugoslavia. Così Strasburgo ha stabilito che la responsabilità del comandante per crimini di guerra trova applicazione sia nel caso di conflitti internazionali sia nel caso di conflitti interni e ha precisato che detta responsabilità non si applica solo ai comandanti militari, ma ai superiori, senza alcuna limitazione alle sole forze militari. Inoltre, tenendo conto che il ricorrente aveva frequentato l’accademia militare, è certo che egli era a conoscenza del fatto che poteva essere ritenuto responsabile per i crimini commessi nel corso di un conflitto. Così, la condanna sulla base del principio della responsabilità del comandante era stata conforme alle regole convenzionali e basata sul fatto che l’uomo esercitava un comando formale e sostanziale, che era a conoscenza dei crimini commessi dai suoi sottoposti e, malgrado ciò, era rimasto inerte. Di conseguenza, per Strasburgo, non vi è stata alcuna violazione della Convenzione europea.
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