La Corte suprema inglese si pronuncia sugli effetti della Convenzione europea nei casi di espulsione di stranieri arrivati da bambini nel Regno Unito

Un cittadino straniero, legalmente stabilito nel Regno Unito, Paese nel quale è arrivato dall’Iran da bambino, può essere espulso se ha ricevuto diverse condanne perché le esigenze di tutela della sicurezza pubblica prevalgono sul diritto al rispetto della vita privata e familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Per la Corte suprema inglese, che si è pronunciata con la sentenza del 16 luglio ([2021] UKSC 30, UKSC), il bilanciamento tra i diritti in gioco previsto dall’articolo 8 della Convenzione è stato compiuto correttamente dal giudice di merito perché l’ingerenza nella vita privata e familiare era controbilanciata dall’interesse pubblico nella prevenzione dei reati e perché non esistevano ostacoli significativi all’integrazione del ricorrente in Iran.

A rivolgersi alla Corte suprema è stato un cittadino iraniano che in base alla legge sull’immigrazione del 1971 era stato espulso con provvedimento del Segretario di Stato. Il ricorrente era arrivato nel Regno Unito, con la madre, nel 2005 e aveva ottenuto un permesso di soggiorno a tempo indeterminato. Tuttavia, a seguito di una condanna per alcune rapine, commesse in un’età compresa tra i 15 e i 18 anni, il Segretario di Stato aveva deciso la sua espulsione, malgrado i profondi legami sociali e culturali con il Regno Unito. Ad avviso della Corte Suprema, l’articolo 8 della Convenzione impone di assicurare il diritto al rispetto della vita privata e familiare, in particolare nei casi di migranti regolari entrati da bambini sul territorio di un altro Stato, ma lascia un certo margine di apprezzamento agli Stati prevedendo la possibilità di ingerenze necessarie in una società democratica, giustificate da un bisogno sociale imperativo. L’Upper Tribunal, nel dare il via libera all’espulsione, aveva considerato la natura e la gravità del reato, la durata del soggiorno del richiedente nel Paese, il tempo trascorso dalla commissione del reato e la condotta del richiedente, la solidità dei legami sociali, culturali e familiari nel Paese ospitante e nel Paese di origine. E’ vero che nella sentenza Maslov c. Austria, la Corte europea ha stabilito che, se il migrante regolare ha trascorso la maggior parte della sua infanzia e adolescenza nel Paese ospitante, sono necessari motivi molto seri per giustificare l’espulsione, in particolare nei casi in cui i reati siano stati commessi da minorenne. Tuttavia, l’Upper Tribunal ha effettuato una valutazione complessiva in linea con i parametri di Strasburgo, non considerando solo la circostanza che l’infanzia era stata trascorsa nel Paese ospitante. L’Upper Tribunal ha considerato i criteri individuati dalla Corte europea e ha constatato che non esistevano ostacoli significativi all’integrazione del ricorrente in Iran: una valutazione corretta, per la Corte suprema, in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per la Corte Suprema, infatti “It is clear that a delicate and holistic assessment of all the criteria flowing from the Convention’s case law is required in order to justify the expulsion of a settled migrant…who has lived almost all of his life in the host country”. Il Tribunale inglese ha seguito questo approccio, motivato e fornito elementi idonei a giustificare la necessità dell’ingerenza nella vita privata e familiare del ricorrente in ragione dell’interesse pubblico nella prevenzione del crimine e, così, ha respinto il ricorso.

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