L’immunità dalla giurisdizione civile vale solo per gli atti iure imperii. Di conseguenza, non si può estendere alle attività di certificazione realizzate dal Registro navale italiano (RINA). E questo anche quando l’attività è compiuta per conto di uno Stato estero. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, con la sentenza n. 28180 depositata il 10 dicembre (28180_12_2020) con la quale è stata riconosciuta la giurisdizione del giudice italiano per l’azione civile di responsabilità avviata dai parenti delle vittime del disastro della nave Al Salam avvenuto nel 2006, nel Mar Rosso. Il naufragio della nave battente bandiera panamense aveva causato la morte di 1.097 persone. I ricorrenti avevano citato in giudizio il Registro italiano navale che aveva il compito di classificazione della nave ed era ente riconosciuto per la certificazione di sicurezza per conto di Panama. Il Tribunale di Genova aveva accolto l’eccezione del Registro navale riconoscendo l’immunità dalla giurisdizione per le attività svolte in quanto organizzazione riconosciuta di Panama, con delega per l’esercizio di funzioni statali. Il verdetto sull’immunità era stato confermato in appello. La Cassazione, dal canto suo, aveva posto un quesito pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea che si è pronunciata con la sentenza del 7 maggio 2020 (C-641/18), precisando che il ricorso per risarcimento danni contro una persona giuridica di diritto privato, che esercita attività di certificazione per conto e su delega di uno Stato terzo, rientra nella materia civile e commerciale in base al regolamento Ue n. 1215/2012 sulla competenza giurisdizionale, l’esecuzione e il riconoscimento delle decisioni in materia civile e commerciale (all’epoca dei fatti era applicabile il n. 44/2001). La Corte Ue aveva anche precisato che spettava in ogni caso ai giudici nazionali accertare che l’attività non fosse stata esercitata in forza di prerogative dei pubblici poteri. Così hanno fatto le Sezioni Unite che, con la sentenza n. 28180, hanno stabilito che il Registro navale italiano non gode dell’immunità dalla giurisdizione civile in ragione del fatto che le attività di certificazione non rientrano tra gli atti dello Stato che comportano l’esercizio di poteri sovrani, anche se c’è una finalità pubblica di accertamento. Per la Suprema Corte, il concetto di immunità funzionale (o derivata) del RINA, in quanto specificazione dell’immunità dello Stato delegante (Panama), non può essere accolto perché dell’immunità funzionale beneficiano solo “solo i soggetti che rappresentano lo Stato in base a un rapporto organico”. Inoltre, per la Cassazione, l’immunità derivata non è una conseguenza della funzione svolta e deve essere esclusa se non si tratta di atti iure imperii, in cui si manifesta una prerogativa sovrana “estrinsecata dalla potestà politica”. Pertanto – osserva la Suprema Corte – “in presenza di mere attività di ordine genericamente statuale”, di competenza dello Stato, ma svolte attraverso società private, l’immunità non va concessa. E questo anche alla luce non solo delle pronunce della Corte Ue, ma anche della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte costituzionale, che impongono una valutazione non asettica sulla funzione delegata da uno Stato che deve sempre essere esercizio di un potere sovrano, da intendere in senso stretto poiché deve realizzarsi in “esplicazione di prerogative riservate all’autorità sovrana”, tra le quali non rientrano le attività di classificazione e di certificazione “che non comportano un potere decisionale che prescinda dal quadro normativo, di fonte eminentemente internazionale, predefinito a garantire le condizioni di sicurezza in mare”. Adesso la competenza torna al Tribunale di Genova.
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