Il giudice italiano non può esercitare la giurisdizione in una controversia tra il dipendente di un’ambasciata di uno Stato estero con sede a Roma e detto Stato estero, malgrado si tratti di rapporti patrimoniali di lavoro, se è stata sottoscritta una clausola di deroga giurisdizionale. Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sezioni unite civili, con l’ordinanza n. 11129, depositata il 10 giugno 2020, con la quale la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti (11129). La vicenda aveva al centro l’azione presentata dall’interprete d’ambasciata che si era rivolta al Giudice del lavoro del Tribunale di Roma sostenendo di aver percepito una retribuzione inferiore rispetto a quella prevista dal contratto e di aver subito condotte vessatorie. Inoltre, la donna chiedeva la dichiarazione di nullità della clausola di deroga alla giurisdizione italiana inserita nel contratto, firmata, a suo dire, solo perché costretta. L’Ambasciata aveva proposto regolamento preventivo di giurisdizione chiedendo che fosse dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano in forza dell’intesa negoziale sottoscritta dalle parti, che attribuiva la giurisdizione esclusiva agli Emirati Arabi Uniti. La Suprema Corte ha osservato che “in applicazione del principio consuetudinario di diritto internazionale dell’immunità ristretta, è necessario che l’esame della fondatezza della domanda del prestatore di lavoro non comporti apprezzamenti, indagini o statuizioni che possano incidere o interferire sugli atti o comportamenti dello Stato estero che siano espressione dei suoi poteri sovrani di autorganizzazione”. Solo nei casi in cui il dipendente richieda una decisione per i soli aspetti patrimoniali, la giurisdizione sussiste perché non interferisce con le funzioni dello Stato sovrano. La Cassazione ha altresì richiamato la Convenzione di New York del 2004 sull’immunità giurisdizionale degli Stati e dei loro beni, resa esecutiva con legge 14 gennaio 2013 n. 5, (anche se non ancora in vigore) e, in particolare, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha rilevato che le norme della Convenzione sono parte integrante del diritto consuetudinario e, quindi, impegnano l’Italia (sentenza 18 gennaio 2011, Guadagnino contro Italia e Francia, si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/sullimmunita-dalla-giurisdizione-nei-rapporti-di-lavoro-interviene-la-cedu.html) a prescindere dall’entrata in vigore dell’accordo. L’articolo 11 della Convenzione di New York dispone che uno Stato non può invocare l’immunità dalla giurisdizione dinanzi a un altro Stato nei procedimenti concernenti un contratto di lavoro tra lo Stato e una persona fisica per un lavoro eseguito o da eseguirsi, interamente o in parte, sul territorio dell’altro Stato. Tuttavia, sussistono talune eccezioni che – scrive la Cassazione – sono “parte integrante del diritto consuetudinario internazionale, pur nella non immediata applicazione diretta di detta Convenzione”. Ed invero, le parti, in base all’articolo 11, par. 2, lett. f, possono convenire diversamente per iscritto. Nel caso in esame, malgrado la controversia riguardi solo aspetti patrimoniali e anche se non ricorre una delle ipotesi previste dalle lettere da a) a e) dell’articolo 11 della Convenzione di New York, la giurisdizione del giudice italiano non sussiste perché le parti hanno accettato e sottoscritto la deroga convenzionale a vantaggio dei giudici dello Stato degli Emirati Arabi Uniti.
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