L’Italia ha violato il diritto di una donna ad essere assunta come vigile del fuoco. I requisiti fisici richiesti, infatti, con particolare riferimento all’altezza, sono in contrasto con il divieto di discriminazione fissato dal Patto sui diritti civili e politici del 1966, ratificato dall’Italia con legge n. 881/1977. Lo ha chiarito il Comitato dei diritti umani dell’Onu nelle conclusioni depositate il 30 marzo e diffuse il 15 maggio (CCPR/C/128/D/2979/2017, CCPR_C_128_D_2979_2017_31547_E), con le quali il Comitato ha constatato la violazione da parte dello Stato convenuto dell’articolo 25 del Patto, che riconosce il diritto di ogni cittadino ad accedere, in condizioni generali di uguaglianza, ai pubblici impieghi del proprio Paese, e dell’articolo 26 che vieta ogni discriminazione, inclusa quella sulla base del sesso. A ricorrere al Comitato è stata una donna che aveva iniziato, sin dal 1999, l’attività come volontaria dei vigili del fuoco. Nel 2007 la volontaria aveva presentato domanda per un impiego nel corpo dei vigili del fuoco, ma la sua istanza era stata respinta perché non raggiungeva 1.65 centimetri di altezza, requisito richiesto per ogni candidato all’impiego. La donna si era rivolta al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sottolineando, tra l’altro, che non vi era alcun motivo nel fissare condizioni diverse per i volontari (per i quali il requisito di altezza era di 1.62cm) e i dipendenti assunti in modo stabile nel corpo dei vigili del fuoco. Il ricorso era stato respinto anche dal Consiglio di Stato e, in ultimo, pure dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che lo aveva dichiarato inammissibile nel 2014. Così, la donna ha presentato, nel 2016, un reclamo al Comitato Onu che le ha dato ragione. Prima di tutto, il Comitato si è occupato della questione della ricevibilità. L’Italia, infatti, al momento della ratifica del Protocollo al Patto, ha depositato una riserva in base alla quale il Comitato non può esaminare le comunicazioni provenienti da individui se la stessa questione è stata già oggetto d’esame in un’altra procedura internazionale di inchiesta. Questa riserva sembrerebbe precludere a un esame del Comitato in ragione dell’azione già avviata dinanzi alla Corte europea ma, poiché il ricorso della donna era stato dichiarato inammissibile su decisione di un giudice unico della Corte di Strasburgo, con la conseguenza che la motivazione contenuta nel provvedimento, per il suo carattere estremamente succinto, non ha permesso al Comitato di accertare se il ricorso avesse già avuto un esame, seppure limitato, sul merito, il Comitato ha considerato il ricorso ricevibile e conforme all’articolo 41 del Patto. Per quanto riguarda il merito, per l’organo Onu, il requisito dell’altezza fissato sia per uomini che per donne a 1.65cm è superiore all’altezza media delle donne pari a 1.61cm. Questa scelta, quindi, costituisce una discriminazione indiretta, tanto più che la ricorrente ha specificato che tale requisito, utilizzato in modo indiscriminato per uomini e donne, produceva un effetto discriminatorio anche tenendo conto della differente altezza media tra uomini (1.75cm) e donne (1.61cm). E’ vero – scrive il Comitato – che la legge, apparentemente, ha carattere neutro ma, di fatto, si traduce in una discriminazione contro le donne, permettendo un accesso maggiore al lavoro come vigile del fuoco agli uomini. L’Italia, prosegue il Comitato, nella scelta e nell’utilizzo di alcuni criteri per l’accesso all’impiego pubblico deve assicurare che i requisiti siano necessari e proporzionali e non producano effetti negativi nei confronti delle donne canditate. D’altra parte – osserva il Comitato – se è vero che, in alcuni casi, sono necessari taluni requisiti fisici per lo svolgimento di alcuni compiti professionali, è anche vero che il Governo in causa non ha fornito spiegazioni sulla necessità di fissare quella determinata altezza per lo svolgimento delle attività. Senza dimenticare che la donna aveva svolto le sue funzioni, come volontaria nello stesso corpo, per ben 17 anni. Inoltre, anche la Corte costituzionale italiana, sin dal 1993, ha dichiarato il requisito di altezza minima senza differenza tra uomini e donne non conforme alla Costituzione. Così, nell’accertare la violazione del Patto, il Comitato ha chiesto al’Italia di corrispondere alla donna un indennizzo e di valutare la possibilità di ammettere la ricorrente al lavoro. L’Italia, entro 180 giorni, dovrà comunicare con quali modalità ha dato seguito al provvedimento.
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