Le condanne della CEDU sul regime carcerario non bloccano l’estradizione

Una cittadina moldava detenuta in Italia può essere estradata nel suo Paese anche se, in diversi casi, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato la violazione della Convenzione per lo stato di detenzione di alcuni condannati. Lo ha deciso la Corte di cassazione, sesta sezione penale, con sentenza depositata il 9 novembre (sen40687), con la quale la Suprema Corte ha respinto il ricorso di una donna moldava. La Corte d’appello di Torino aveva concesso l’estradizione processuale della donna accusata di truffa nel suo Paese sulla base della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, sottolineando che non vi era alcun rischio di persecuzione e che vi era stato il pieno rispetto del principio della doppia incriminazione. La Suprema Corte non ha condiviso la posizione della ricorrente secondo la quale i giudici di appello avrebbero dato poco rilievo alle sentenze della Cedu. Per la Cassazione, infatti, le sentenze di Strasburgo riguardavano casi specifici e non un peculiare regime normativo, per cui la donna non subiva rischi di alcun genere. A ciò si aggiunga che, per la Suprema Corte, la circostanza che lo Stato richiedente ha ratificato la Convenzione del 1957 indica un adeguamento a un sistema processuale e penitenziario rispettoso dei diritti umani. Una presunzione discutibile visto che alla Repubblica Moldava non mancano le sentenze di “condanna” di Strasburgo.

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