L’Italia ha violato l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto alla libertà di espressione, inclusa la libertà di stampa. Lo ha scritto, ancora una volta, la Corte di Strasburgo nella sentenza nel caso Sallusti contro Italia depositata ieri (ricorso n. 22350/13, CASE OF SALLUSTI v. ITALY). Per la Corte europea la condanna per diffamazione e per omesso controllo nei confronti del giornalista è stata giusta e ha raggiunto un giusto bilanciamento tra diritti in gioco – libertà di espressione e tutela della reputazione – ma la sanzione inflitta ossia il carcere per il giornalista è incompatibile con la Convenzione europea che assicura il diritto alla libertà di espressione. Questo perché la detenzione ha un chilling effect sicuro sulla libertà di stampa, anche se la pena non viene eseguita. Così, l’Italia, nel prevedere la condanna al carcere per il giornalista Alessandro Sallusti, all’epoca dei fatti contestati direttore del quotidiano “Libero”, ha violato la Convenzione perché la sanzione del carcere è sproporzionata e può essere ammessa solo nei casi di incitamento all’odio e alla violenza. Il ricorso alla Corte era stato presentato dall’allora direttore responsabile del quotidiano “Libero” (oggi direttore de “Il Giornale”) sul quale nel 2007 erano stati pubblicati due articoli sulla vicenda di una ragazza di 13 anni che aveva deciso di abortire. Negli articoli, uno non firmato e l’altro scritto da un altro giornalista, si sosteneva che la ragazza era stata costretta all’aborto dai genitori e dal giudice tutelare, che aveva accolto la richiesta della ragazza. Una ricostruzione non conforme alla realtà. Il direttore responsabile Alessandro Sallusti era stato denunciato e condannato per diffamazione aggravata e per omesso controllo a 1 anno e 2 mesi di carcere, a una multa di 5mila euro, nonché al risarcimento dei danni pari a 30mila euro. Il verdetto era stato confermato in Cassazione e il tribunale di sorveglianza di Milano aveva deciso di disporre gli arresti domiciliari. Tuttavia, su istanza di Sallusti, con decreto del Presidente della Repubblica, la pena era stata convertita in una multa. Poi la decisione di ricorrere a Strasburgo che ha dato ragione al giornalista. E’ vero – osserva la Corte – che gli articoli erano diffamatori e che il direttore non aveva svolto il controllo dovuto, ma la sanzione è stata sproporzionata e non necessaria in una società democratica. Non è la prima condanna all’Italia. Già nella sentenza relativo al caso Belpietro e in quella relativa al caso Ricci, la Corte aveva accertato la violazione della Convenzione proprio per la previsione del carcere ammissibile solo in ipotesi eccezionali, che non possono riguardare l’omesso controllo nei casi di diffamazione.
L’Italia dovrà versare al ricorrente 12mila euro per i danni non patrimoniali e 5mila per le spese sostenute. Adesso, per evitare nuove condanne, è necessario un intervento rapido del Parlamento che deve procedere alla modifica legislativa delle norme del codice penale sulla diffamazione nonché dell’articolo 13 della legge n. 47/1948.
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