La Corte penale internazionale ha dato il via libera alle indagini sulle deportazioni dei Rohingya dal Myanmar al Bangladesh. Con decisione del 6 settembre, infatti, la Pre-Trial Chamber, accogliendo le istanze del Procuratore Fatou Bensouda, ha affermato la giurisdizione della Corte penale internazionale sulle deportazioni in Bangladesh (ICC-Roc46(3)01/18, (CR2018_04203), riconoscendo, così, senza pregiudizio del merito, la competenza della Corte sulla base dell’articolo 12, (2)a dello Statuto, in una vicenda che ha al centro le deportazioni da uno Stato non parte (Myanmar) a uno parte (Bangladesh). Il Procuratore, sulla base delle segnalazioni ricevute, aveva chiesto l’apertura di un esame preliminare e, così, la Pre-Trial Chamber ha adottato il primo provvedimento che potrebbe portare all’affermazione della colpevolezza dei vertici dell’esercito birmano per i crimini commessi contro la minoranza musulmana.
Anche i privati cercano di arginare la violenza contro la popolazione inerte. A fine agosto Facebook, basandosi per la prima volta su un rapporto dell’ONU, nel caso specifico quello adottato dalla Missione di indagine indipendente sui fatti commessi in Myanmar (A_HRC_39_64), ha disposto la rimozione delle pagine di alcuni generali e la cancellazione di diversi post (Removing Myanmar Military Officials From Facebook | Facebook Newsroom). Il 18 settembre, poi, il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha pubblicato il rapporto conclusivo dell’indicata Missione (A_HRC_39_CRP.2) nel quale sono evidenziate le violazioni e i crimini commessi dalle forze militari e la cultura di impunità a livello nazionale, che impone un intervento della comunità internazionale per assicurare che gli autori dei crimini contro l’umanità e genocidio siano puniti.
Anche il Dipartimento di Stato americano ha divulgato, il 24 settembre, un rapporto sui crimini commessi contro i Rohingya, senza, però, considerare gli atti contro la popolazione come genocidio o crimini contro l’umanità (286307).
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